Consultazione valida se voterà la metà degli elettori delle ultime elezioni politiche

Ottocentomila firme per promuovere un referendum e «quorum mobile» basato sull'affluenza alla Camera delle ultime elezioni politiche. Sono queste le novità più importanti approvate ieri dalla Commissione Affari costituzionali del Senato con degli emendamenti al ddl sulle riforme.
Cresce da 500mila a 800mila il numero di firme necessarie per indire un referendum abrogativo, 200mila in meno del tetto inizialmente fissato dai relatori. L'emendamento approvato ieri prevede anche un giudizio preventivo di ammissibilità sul quesito da parte della Corte costituzionale, una volta raggiunta la metà delle firme necessarie (400mila). Previsti dei limiti alle materie che potranno essere oggetto di referendum: il quesito dovrà riguardare un'intera legge o un suo articolo purché abbia un valore normativo autonomo. Vengono quindi esclusi quelli che in gergo sono chiamati «referendum manipolativi» che abrogano cioè solo una singola parola o una singola parte di un articolo di una legge. Scende infine il quorum necessario per rendere valido un referendum abrogativo: non sarà più necessaria la partecipazione della metà dei cittadini iscritti alle liste elettorali, bensì la metà di quelli che hanno votato alle ultime elezioni della Camera.
«Anche se non si arriva a 1 milione di firme, si assesta un colpo mortale contro l'istituto referendario», la critica al testo dell'azzurro Daniele Capezzone, presidente della commissione Finanze della Camera: «Chiunque abbia raccolto firme sa infatti che queste devono essere autenticate e certificate, il che implica la necessità di raccogliere molte firme in più», per ottenere un consistente margine di sicurezza.

Il risultato, conclude Capezzone, è quello di limitare «solo a organizzazioni fortissime e potentissime la reale possibilità di promuovere campagne referendarie». «È uno scippo di democrazia. Renzi vuole solo riforme ad castam», scrive su Twitter il deputato del M5S Riccardo Fraccaro.

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