Continuiamo così, facciamoci del male

Continuiamo così, facciamoci del male

(...) ma riesce a prendere il meglio da tutti e tre i territori. Lunezia, insomma.
Tutto questo per dire che, ad esempio, Verdini non mette nella lista la sua Toscana. Che sogna un governatore del Pdl per la propria regione, ma non ci mette sopra troppo il cuore. Invece, la Liguria, la reputa «molto difficile», ma conquistabile.
Il problema è che, per conquistarla, occorrerebbe darsi da fare al massimo. E invece, leggendo i giornali di questi giorni, in primis Il Secolo XIX, l’impressione è tutt’altra. L’impressione è che si perda tempo a farsi guerre e guerricciole interne. Che ci sono - anche più cruente - pure nel centrosinistra. Ma abilmente mascherate.
Diciamo subito che, stavolta, non è colpa nè dei giornali in generale, nè del Secolo in particolare. La colpa è tutta del centrodestra che si perde in polemiche e polemicucce su qualsiasi aspetto dello scibile umano, dal costo dei manifesti[NOTE] [/NOTE] dei candidati rivali all’importanza del lavoro dei sottosegretari nella scorsa legislatura.
E, mi spiace dirlo, molte di queste polemiche sono dovute a una serie di debolezze del centrodestra. A partire da quella dei partiti, con il Pdl quasi totalmente sulle spalle degli ex azzurri e i dirigenti provenienti da An più defilati, quando non inesistenti, per arrivare a quella di Sandro Biasotti - che è [NOTE][/NOTE]stato il miglior presidente della Regione e che ha tutte le caratteristiche per tornare ad esserlo, soprattutto avendo un’idea forte e ottima come il ripopolamento della Liguria, anche nell’entroterra - ma che, a mio parere, sta sbagliando la campagna elettorale. E non è una questione di manifesti, non solo.
Ho scritto più volte che le dimissioni immediate dal Parlamento sarebbero la carta vincente di una campagna elettorale altrimenti difficilissima, la bomba di una battaglia combattuta finora con i petardi, quando non con colpi a salve. Una campagna fatta dall’uomo «che ha lasciato la poltrona sicura a Roma per amore della Liguria» sarebbe dirompente. Sandro, legittimamente, ha fatto un’altra scelta. A mio parere sbagliatissima. Ma, comunque, legittima.
Il problema, però, Roma o non Roma, è che la sua forza, devastante per gli avversari, è quella di essere impolitico. Di conquistare tutti con la forza di un sorriso, di una barba o di una stretta di mano, nei mercati e per strada. E, certo, la politica della campagna elettorale fatta nei convegni negli alberghi, non fa per lui. Così come non fa per lui ripartire da vecchi schemi e vecchi errori nella scelta degli uomini. I perni dello staff possono e devono essere Roberto Dotta, che lo ama quasi fisicamente, ed è un po’ quello che Bondi è per Berlusconi; Gianni Barci, anima organizzativa del biasottismo, e Marcella Mirafiori, fedelissima segretaria.
Insomma, Biasotti per vincere deve uscire dal Palazzo. Nel 2000 era fuori dal Palazzo e ha vinto. Nel 2005 ne era imprigionato e ha perso. E nel 2010?
Il resto, fondamentalmente, è tutto nella polemica del ministro Claudio Scajola sui consiglieri regionali «cacasotto». Dico subito che i toni sono stati eccessivi e che almeno la metà dei consiglieri non se li meritavano. Ma l’altra metà sì, però. E per scoprire chi sono basta farsi una veloce ricerca nella raccolta del Giornale. C’è gente che è riuscita a non farsi notare per cinque anni di mandato, tranne nel momento di ritirare lo stipendio a fine mese. Quindi, la denuncia di Scajola - seppur troppo forte nei toni - è giustificatissima nel merito: che in molti consiglieri ci sia stato un deficit di opposizione, è indubitabile.


Il resto, i veleni, i personaggi in cerca d’autore, gli autori in cerca di personaggi, fanno parte del colore. Il problema è che quel colore rischia di essere il rosso di Burlando.[NOTE]
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«Continuiamo così, facciamoci del male». E pazienza se lo diceva Nanni Moretti.

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