da Roma
«Mi stanno trattando come un pacco postale». Bruno Contrada si sfoga così con la moglie durante un colloquio telefonico. Ma l’ex 007 nel bene o nel male e per quanto è in suo potere vuole decidere da solo del proprio destino, anche se le circostanze lo forzano a fare altrimenti. E così dopo il ricovero all’ospedale Cardarelli di Napoli, stabilito l’altra sera dal magistrato di sorveglianza Daniela della Pietra per le precarie condizioni di salute del detenuto, Contrada sceglie di tornare nel carcere di Santa Maria Capua Vetere.
Nonostante il parere contrario dei medici firma la rinuncia al ricovero e dopo aver espletato tutte le formalità è di nuovo nella sua cella. I medici del Cardarelli non hanno potuto effettuare tutti gli accertamenti diagnostici necessari ma quelli eseguiti hanno già messo chiaramente in luce le precarie condizioni dell’ex funzionario del Sisde. Subito dopo il ricovero Contrada era stato sottoposto a Tac cranica, elettrocardiogramma ed esami del sangue. L’improvvisa decisione di Contrada invece ha reso impossibile effettuare la visita neurologica e le prove audiovestibolari. Comunque il direttore sanitario del nosocomio, Franco Paradiso, ha diffuso un bollettino sulle sue condizioni. Contrada è «affetto da patologie croniche non acute a livello cerebrale e polmonare». Sono state diagnosticati in particolare un’ischemia cerebrale e un versamento pleurico saccato, episodi comunque che risalgono al passato del paziente.
Perché Contrada è voluto tornare in carcere? Il suo legale, Giuseppe Lipera, attribuisce tra l’altro la scelta dell’ex 007 anche alle tremende condizioni del ricovero e definisce «un lager» il reparto dei detenuti del Cardarelli. Un loculo ghiacciato dove invece di guarire si rischia di peggiorare. Meglio il carcere dunque che il Cardarelli. Il legale dell’ex funzionario del Sisde poi tiene a specificare che questa scelta non è «una protesta».
Ma il timore dei parenti più stretti e degli amici che gli sono rimasti fedeli è che Contrada abbia deciso invece di lasciarsi andare, rinunciando a lottare, rifiutando le cure e dunque rinunciando a vivere. L’uomo dello Stato, dicono i parenti, non vuole la libertà vuole indietro il suo onore e se non ottiene quello non gli interessa altro.
Certo è che Contrada non ha mai presentato domanda di grazia per ottenere la libertà e basta. Ha sempre continuato a proclamare la sua assoluta estraneità all’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa basata sulle testimonianze, tra gli altri, dei pentiti Tommaso Buscetta e Gaspare Mutolo. Accusa che gli è costata la condanna a dieci anni di carcere che avranno la loro naturale scadenza nel 2014. Una condanna, dice lo stesso Contrada, che equivale per un uomo malato e di 76 anni a una «condanna a morte dilazionata nel tempo». È stato il suo legale a presentare una «supplica» per ottenere il ritorno a casa di Contrada viste le sue gravi condizioni di salute.
E nelle motivazioni che hanno indotto il magistrato competente a disporre il ricovero espresse il 27 dicembre scorso, oltre alle «malattie croniche degenerative della senescenza a carattere irreversibile» che affliggono Contrada si fa riferimento alla necessità di «far esperire un completo monitoraggio delle stesse» attraverso «eventuali ulteriori accertamenti clinici e diagnostici» in modo da attestare l’«eventuale incompatibilità delle condizioni di salute del Contrada con il regime detentivo e ciò anche in funzione dell’udienza già fissata presso il Tribunale di sorveglianza di Napoli a cui, anche in questo caso, vanno rimessi gli atti per l’ulteriore corso e per l’eventuale riunione».
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