Roma È il destino dei capi rivoluzionari che non portano a termine la rivoluzione: tutti chiedono la loro testa. In questi giorni sono in molti a sostenere che per Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, la vicenda Fiat ha segnato linizio molto prematuro di una parabola discendente.
Oggi il segretario dovrà affrontare il comitato centrale (alla Fiom si chiama ancora così) più difficile da quando, esattamente un anno fa, è stato eletto. Convocato in via straordinaria dopo la sbandata dello stabilimento di Gugliasco, dove i delegati del sindacato hanno dato indicazione di votare sì ad un contratto simile a quelli di Mirafiori e Pomigliano. Uno stop clamoroso alla linea antagonista della Fiom che ha investito tutto sulla no alla Fiat, di fronte al quale il segretario ha reagito, secondo i critici di tutte le tendenze, in modo incerto: ha lodato «il coraggio» dei suoi rappresentanti e poi ha confermato il no del sindacato al piano Marchionne.
Risultato: ex fedelissimi come Giorgio Cremaschi, esponente della sinistra interna, si sono infuriati perché hanno visto nella linea di Landini «un arretramento» rispetto allopposizione senza compromessi a Marchionne. Mentre Fausto Durante, leader della minoranza - che nella Fiom è composta da moderati sulla linea del segretario generale della Cgil Susanna Camusso - ne hanno approfittato per chiedere un cambiamento radicale di linea. Entrambi hanno annunciato battaglia al comitato di questa mattina.
Ieri i due neo oppositori di Landini hanno preferito non parlare. «Aspettiamo domani», si è limitato a dire Cremaschi. Poche parole anche da Durante, che però ha messo in chiaro quale è lalternativa. O Landini annuncerà un inversione di rotta oppure inizierà un periodo di fuoco. Il segnale che i moderati della Fiom aspettano è lannuncio di una firma «tecnica» sui vecchi accordi di Mirafiori e Pomigliano e quindi su quello per Melfi. Poi una tregua con Marchionne. Formula che equivarrebbe ad uninversione a «u» rispetto a tutte le scelte fatte fino ad ora.
Lintenzione di Landini, alla vigilia della resa dei conti, sembra infatti quella di giocare tutto in difesa. Giovedì ha riunito i fedelissimi, compresi i segretari delle federazioni regionali, per garantirsi un comitato centrale blindato, dal quale insomma emergano il meno possibile le crepe, soprattutto quelle dentro la maggioranza che lo sostiene.
Negli incontri dei giorni scorsi è arrivato a zittire Cremaschi, suo grande sponsor. Segno di un nervosismo che non trova giustificazione nei numeri. Landini ha ancora la maggioranza nel comitato centrale. Lopposizione «riformista», può contare sul 27% dei voti, mentre la sinistra capeggiata da Cremaschi - che è ancora parte della maggioranza - dovrebbe contare circa il dieci per cento. «Per il segretario il rischio, spiegava ieri un sindacalista, è il logoramento. Difficile resista, se tutti cominceranno ad attaccarlo».
E il riferimento è anche a Susanna Camusso, che non è apparsa molto allarmata per la crisi che sta attraversando il sindacato più potente ed estremista della sua confederazione. Pagata la cambiale dello sciopero generale, che il predecessore Guglielmo Epifani aveva firmato con la Fiom, per il segretario della Cgil la priorità è ricucire con Cisl, Uil e Confindustria. Interlocutori che considerano la Fiom come un ostacolo al confronto e osservano con interesse la prima vera crisi della «quarta confederazione».
Ancora più insidioso per Landini, il fronte degli iscritti nelle fabbriche, stanchi di stare in una trincea che i colleghi hanno abbandonato da tempo. Ad esempio quelli di Melfi, altro stabilimento Fiat dove 18 delegati Fiom hanno scritto a Camusso e Landini per denunciare «latteggiamento contradditorio» del sindacato che prima ha detto sì alla sperimentazione di un nuovo metodo di rilevamento dei tempi di lavoro e poi si è tirato indietro. Ancora più arrabbiati, quelli di Pomigliano.
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