Contro Napoleone armato di tela e colori

Fra i 200 capolavori esposti al Prado, le celebri e tremende immagini di Goya sull'invasione francese

Contro Napoleone armato di tela e colori

«Goya al tempo della guerra» al Museo del Prado è destinata a restare una mostra irripetibile sia per la quantità delle opere proposte (circa duecento) sia per la loro altissima qualità. D’altra parte, se il suo nucleo centrale è costituito dai quadri del Prado e della Real Accademia de San Fernando, altre opere fondamentali sono giunte dai più prestigiosi musei americani ma anche dal Louvre e dalla National Gallery di Londra.

La rassegna copre venticinque anni della creatività di Goya, dal 1794 al 1819, e il suo titolo, che può trarre in inganno, si riferisce non solo alla conquista di Napoleone, ma a un periodo storico più ampio, che va dall’esecuzione in Francia di Luigi XVI alla Restaurazione in Spagna, con l’abolizione da parte di Ferdinando VII della Costituzione liberale del 1812. È un periodo di cambiamenti epocali e non solo politici che Goya coglie con l’occhio dell’artista attento a renderlo emblematico di una condizione umana più generale. Nato artisticamente sotto l’influenza di pittori operanti in Spagna come Corrado Giaquinto, Luca Giordano e soprattutto Giambattista Tiepolo, che lascia nel Palazzo Reale di Madrid il suo ultimo, sublime capolavoro, Goya a partire dagli anni Novanta prende una strada del tutto diversa da quella del nuovo dominatore del gusto, il virtuoso neoclassicista Anton Mengs.

La sordità, comparsa nel 1793, spiega poco la scelta di una pittura che si allontana definitivamente dal Rococò, proprio dei suoi anni Settanta e Ottanta, per percorrere strade sconosciute, impervie e rischiose che fanno di Goya uno stupefacente anticipatore dell’arte moderna. La sua rivoluzione del linguaggio pittorico nasce da quella che Ortega y Gasset ha definito: «la chiaroveggenza del sonnambulo». Il raffinato artista dell’Ancien Régime, colorista mai immemore del sommo Tiepolo, si trasforma in un pittore inquieto e inquietante, in grado di cogliere, perfino dietro la ritrattistica di corte, gli aspetti più segreti dei personaggi. Goya crea capolavori di una modernità che non finisce di stupirci: l’Autoritratto del 1795-1797, dalla pennellata nervosa e guizzante in un gioco di luci e ombre, il Ritratto della Duchessa d’Alba del 1795, dove la libertà del tocco si accompagna a un’indagine psicologica sottilissima, la celebre Maja desnuda di datazione incerta, che gli causò le attenzioni del Tribunale d’Inquisizione, opera geniale nello splendido nudo di una carnalità quotidiana e spudorata. La famiglia di Carlo IV del 1800-1801, che pure piacque al re, è un capolavoro di spietata indagine psicologica, con quella regina dal volto sgradevole e volgare che contrasta con il raffinatissimo abito che indossa e con quel re così inadeguato al suo ruolo. Ma tutto il quadro con i suoi quattordici personaggi (Goya compreso) ha una forza espressiva e satirica che lo pone tra i risultati più alti dell’intera opera del pittore.

La ritrattistica dei nobili ma anche di qualche borghese continua nei primi anni del nuovo secolo a sollecitare Goya, sempre più geniale non solo nel tocco ma anche nello scavare fin nelle più intime fibre dei suoi modelli. Ecco così la mirabile Contessa di Chinchon, giocata sul contrasto fra la preziosità dell’abito e il volto smarrito della donna, e Manuel Godoy, rappresentato nella sua arroganza e nella sua spavalderia di macho, consapevole del suo ruolo di potente ministro e insieme di amante della regina.

L’invasione dei francesi del 1808 e la conseguente rivolta di tutti gli spagnoli creano situazioni di una violenza inaudita. Goya la rappresenta nelle incisioni de I disastri della guerra, enciclopedia grafica del male che alberga nell’uomo, e in un quadro come Attacco a un accampamento militare, dove la violenza dei colori esalta la brutalità degli uomini. Jean Starobinski ha scritto che: «La Francia rivoluzionaria, fonte da cui irraggiava la luce dei princìpi, e di cui Goya aveva sperato la pacifica invasione, fa irruzione con il volto di un’armata violenta, che semina al suo passaggio assurdi stupri e assassini». Due dei massimi capolavori di Goya, Il 2 maggio 1808 a Madrid: lotta contro i mameluchi e Il 3 maggio 1808 a Madrid: fucilazioni alla montagna del Principe Pio, sono espressione di questa tragica realtà.

Oltre ai Disastri della guerra, la rassegna di Madrid presenta lo sperimentalismo sempre geniale dei Capricci, della Tauromachia, delle Follie. In essi il segno di Goya lacera e ferisce. Le tenebre, gli incubi, le ossessioni delle Pitture nere, tracciate nei muri della stanza della Quinta del Sordo, sono assai vicine.

Lo conferma anche L’ultima comunione di San Giuseppe Calasanzio (1819), che è una metafora della morte piuttosto che della santità.

LA MOSTRA
«Goya en el tiempo de guerra». Museo Nacional del Prado, Paseo del Prado, Madrid. Fino al 13 luglio
www.museodelprado.es

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