Controculture, il gioco in cui (si) perde la Francia

Controculture, il gioco in cui (si) perde la Francia

All'indomani delle presidenziali che hanno terremotato il mondo politico francese, chi volesse cercare di capire perché la sinistra ha perso e perché la destra non ha vinto, dovrebbe fare un salto alla fondazione La Maison Rouge, a due passi dalla Bastiglia, dove è in corso la gigantesca mostra «L'Esprit français. Contre-cultures 1969-1989» (fino al 21 maggio). Racconta il '68 e il cosiddetto «joli mai», con la sua provocazione grafica, ludica, erotica: la democrazia della festa, dei diritti e del rifiuto di ogni dovere, il sempre più persistente anti-autoritarismo (meglio sarebbe dire il rifiuto del concetto stesso di autorità) che in un sondaggio popolare del 1979 trasformerà un killer di strada come Jacques Mesrine nella personalità preferita dai francesi...

Tutto questo in un ventennio in cui destra e sinistra, politicamente parlando, si danno il cambio, ovvero si danno la mano, l'una archiviando prima De Gaulle, affidandosi dopo al suo delfino Pompidou, cercando la via tecnocratica con Giscard d'Estaing, riemergendo infine con Chirac. L'altra lavorando sulla dissoluzione dei comunisti e poi sulla rifondazione dei socialisti, trasformando Mitterrand nell'ultimo suo monarca repubblicano e preparando il terreno al decennio dei burocrati spazzato via l'altro giorno dalla vittoria di Macron.

Sia per la destra che per la sinistra, la fine delle ideologie, quel 1989 che con la caduta del Muro di Berlino chiude storicamente il Novecento ed emblematicamente la mostra, significa non solo l'incapacità a reinventarsi, ma segna il punto di arrivo di due espressioni politiche che avendo raccolto l'eredità del secondo dopoguerra (ricostruzione, industrializzazione, aperture sociali, riformismo, meritocrazia) l'hanno dilapidata senza lasciare nulla in cambio, se non un generico edonismo più o meno nichilistico, un gigantesco «non contate su di noi» sterile e velleitario.

La mostra accomuna destra e sinistra senza accorgersene, come sempre accade quando i linguaggi della contestazione e quelli del potere funzionano in modo speculare, si sorreggono cioè l'uno con l'altro. Il «vietato vietare» dei moti studenteschi è tutt'uno con «la ricreazione è finita» con cui il gollismo intende riportare gli studenti in classe, ovvero nell'ordine. In realtà, da lì in poi nessuno vieterà più niente, ma tutti faranno finta che la libertà, qualsiasi libertà, sia sempre in pericolo...

I curatori della mostra sono convinti di avere messo in evidenza come dietro quella «nebulosa di idealismo e di nichilismo, di liberazione sessuale e di contro-educazioni» ci sia «l'intero campo della creazione». Il messaggio è che le contro-culture possono anche ideologicamente e politicamente avere perso, ma hanno lasciato la loro impronta artistica: dal rock ai graffiti, dai fumetti alle radio libere, dalla pubblicità alla satira... In realtà, basta aggirarsi per i grandi spazi della Maison Rouge per vedere come slogan, segni, invenzioni che hanno quarant'anni e poco più risultino terribilmente vecchi, polverosi e, soprattutto, brutti. Potrebbe essere l'effetto del déjà vu e della ripetizione, ma il punto è proprio questo: da allora a oggi, sotto quel profilo, non è cambiato nulla e pur dando per buona un'iniziale originalità, bisognerà convenire che era nata morta, come incartata su se stessa.

Le stesse tappe in cui la mostra è scandita hanno titoli che mimano la violenza proprio nell'incapacità a raccontare una rivoluzione: Fuoco a volontà, Danzare sulle rovine... E non è un caso che nel 1980 questo mondo delle controculture variamente intese scelga come candidato alternativo alle elezioni un comico, Coluche, che ha come programma quello di «metterlo nel c... al potere»... Si ritirerà ancora al primo turno, ma l'Hollande di trent'anni dopo non è che la farsa arrivata finalmente e puntualmente sulla scena: il socialismo edonista, che ironizza sui poveri, «i senza denti», velleitario quanto inconcludente. «L'Esprit français» racconta insomma il progressivo distacco delle élite intellettuali della sinistra degli anni Sessanta, da quello che era il loro bacino naturale: operai e popolo, giustizia sociale e difesa dei più deboli, lotta ai privilegi e decenza nella vita pubblica. Via via che il rapporto si indebolisce e alcuni attori sociali entrano a loro volta in crisi, sempre più l'élite intellettuale gioca la carta dei diritti individuali, ma nell'ottica borghese e compiaciuta di chi privilegia il piacere alla sicurezza, l'egoismo alla comunità. La sinistra al caviale nasce allora.

È questo sfascio che ha permesso a Emmanuel Macron di uscire vittorioso alle ultime elezioni: ciò che ancora poteva sussistere di una sinistra non compromessa con il liberismo, che è il suo esatto contrario, non ha fatto a tempo a riattrezzarsi; ciò che era rimasto esterno alla destra che aveva barattato la nazione con il capitale, non è riuscito ad andare oltre un risultato onorevole, ma che ha un senso solo se diventa un nuovo punto di

partenza. L'ultimo quarantennio di storia francese racconta insomma il declino e la fine di un'idea della politica legata al Novecento. Bisognerà vedere se ciò che viene dopo è una rinascita, un interregno, un'altra decadenza.

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