Un convento tra vocazione e ossessione

Con «In memoria di me» Saverio Costanzo riporta al cinema il tema religioso

D'un film ambizioso e problematico come In memoria di me di Saverio Costanzo, si è scritto soprattutto il bacio finale che un novizio demotivato (Filippo Timi) dà al padre superiore (Andre Hennické) di un convento. Se il bacio non ci fosse il film ci sarebbe egualmente e sarebbe anche più insolito. Lo scandalo della vicenda non è in un'ipotetica, mesta gayezza, ma nell'aver reintrodotto nel nostro cinema la figura del religioso e la questione della religione. A giudicare dai film degli ultimi dieci anni, infatti, l'Italia sembrerebbe abitata da immigrati, emarginati o borghesi infoiati; ricordare - come fa In memoria di me - che esiste anche qualcun altro, è già un pregio. E poi Costanzo non è Marco Bellocchio e tanto meno Sergio Nasca: loro hanno espresso l'ateismo e l'anticlericalismo, reazioni-negazioni davanti alla presenza religiosa. Ora invece c'è l'assenza religiosa, nemmeno più compensata dalla dedizione ideologica. Resta solo l'umanitarismo untuoso, alla maniera di Bob Geldof, che riempie gli schermi tv, non le anime. È a questo risvolto che bada In memoria di me: peccato che la consapevolezza della maggiore sensibilità sfoci in una certa enfasi e che questa riduca la storia raccontata a un pretesto, con Christo Jivkov che si aggira per i corridoi del convento con gli occhi sbarrati. Sarà così oggi nei conventi? Per quel che ricorda chi ha avuto una lunga educazione religiosa, vocazione non significava ossessione. Al contrario.

Il resto è trascurabile: che la Chiesa non sia un soft power, che anzi, proprio col rigore, ha durato per millenni, era noto anche prima di questo film. Però, da Private a In memoria di me ci sono miglioramenti. Ci annoia ancora, ma ne vale di più la pena.

IN MEMORIA DI ME di Saverio Costanzo (Italia, 2006), con Christo Jivkov, Filippo Timi. 115 minuti.

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