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Coop spaccate su Unipol-Bnl «Basta collateralismi con i Ds»

Poletti (Legacoop): «Dobbiamo cercare soluzioni condivise e separare proprietà e management». Ma quelle «bianche» non ci stanno

da Roma

I risvolti giudiziari dell’Opa lanciata da Unipol su Bnl potrebbero non risolversi unicamente con il cambiamento dei vertici della compagnia. Il rischio principale è l’acuirsi della spaccatura fra le coop «rosse», vicine ai Ds e favorevoli alla scalata, e quelle «bianche», politicamente centriste e contrarie alle mire espansionistiche di Consorte & C. Questa frattura potrebbe fare passare in secondo piano anche la crisi dei rapporti fra il partito guidato da Piero Fassino, desideroso di recuperare il proprio appeal elettorale schivando i coinvolgimenti finanziari, e lo stesso sistema delle coop. Un’altra questione è poi rappresentata da un possibile allargamento del fronte «anti-Opa» in seno alle cooperative di sinistra, una fazione finora capeggiata dalla Unicoop Firenze di Turiddo Campaini, dalla Coop Lombardia di Silvano Ambrosetti e dalla Coop Centro Italia di Renzo Raggi.
Per il presidente di Legacoop (l’organizzazione che riunisce le «Coop rosse»), Giuliano Poletti, si tratta di una matassa difficile da sbrogliare. Tanto più che in questi giorni Poletti è impegnato a ricompattare gli associati nella designazione dei nuovi manager Unipol attraverso incontri informali in vista del cda di Holmo (controllante della compagnia) in calendario per il 5 gennaio. «Io credo che il progetto Unipol-Bnl - spiega Poletti al Giornale - resti valido e a oggi non ci sono elementi che facciano pensare a una valutazione negativa da parte dell’organizzazione delle coop». Secondo il presidente della Legacoop, la questione è risolvibile con un cambiamento del sistema di controllo di Unipol: «Credo che si debba lavorare in direzione di una separazione della rappresentanza della proprietà e del management. È un orientamento generale».
I toni utilizzati non sono quelli consoni a una lotta all’arma bianca e anche sui rapporti con i Ds Poletti tende a glissare: «È paradossale affermare che le Coop siano un patrimonio importante e poi si faccia passare tutto questo come frutto dei legami con un partito». E le coop che hanno manifestato perplessità fin dall’inizio dell’operazione? «Come Legacoop ho l’obbligo di rappresentare tutti. Ho apprezzato Unicoop Firenze quando ha deciso di investire nel Monte dei Paschi e in Unipol. Non so se ci saranno condizioni perché questo quadro si modifichi, ma noi lavoriamo per proporre soluzioni condivise».
Decisamente più drastico Luigi Marino, presidente di Confcooperative, l’anima «bianca» della categoria con 19mila imprese associate e 43 miliardi di fatturato. «Il movimento cooperativo - dice - viene travolto da questa vicenda come un passante che viene investito da un’auto guidata da un conducente che ha perso il controllo». La vicenda Unipol, precisa, è circoscritta a una dozzina di cooperative che fanno parte della Legacoop, a fronte di un totale di oltre 75mila, per la maggior parte pmi, «che non hanno problemi di governance e di scalate, ma hanno solo problemi di crescita». Il danno di immagine potrebbe essere non irrilevante. «La riforma Vietti fatta da questo governo - afferma Marino - ha aiutato la cooperazione a crescere. Ora si rimette tutto in discussione. La diversità rispetto alle società di capitali sta nello scambio mutualistico. Le coop non possono impegnare parti consistenti dei loro patrimoni in operazioni che riguardano una spa».
I rapporti privilegiati con i Ds non aiutano a svelenire il clima. «Dal dopoguerra a oggi una parte del movimento - ricorda Marino - si è schierata sempre e costantemente da una parte. Non si può pensare che non ci sia un collateralismo. La sinistra, che su questa vicenda se la suona e se la canta, finisce per danneggiare le coop». Per superare le diffidenze, secondo Confcooperative, sarebbe opportuno avviare un «un processo unitario con Legacoop per creare un grande movimento della cooperazione», svincolando la classe dirigente dai Ds e lasciandosi alle spalle Unipol-Bnl: perché «si prendono le grandi banche per entrare nei salotti buoni, perché si ha sete di potere».
La retromarcia dei Ds su Unipol-Bnl ha, invece, deluso Vincenzo Tassinari, presidente di Coop Italia, la centrale acquisti del sistema. Le prese di distanza, spiega, «ci lasciano piuttosto amareggiati perché si guarda a un episodio come Unipol-Bnl e non alla nostra storia». Sull’Opa, invece, nessun tentennamento. «Sul progetto industriale - dice - c’è sempre stata convinzione: le sinergie che la distribuzione può sviluppare con il mondo bancario e finanziario sono innegabili. Un’altra cosa sono i problemi riguardanti le indagini della magistratura e la moralità degli individui». Pierluigi Stefanini, presidente di Coop Adriatica e candidato alla sostituzione di Consorte, si è chiuso in silenzio stampa fino al prossimo cda di Unipol del 9 gennaio.

Allo stesso modo, il management della compagnia continua a lavorare, smentendo le indiscrezioni relative a un possibile disimpegno di massa se dovesse prevalere la linea-Coop nella gestione di Unipol. «Sono voci destituite di ogni fondamento. Siamo sereni e determinati a superare questo momento difficile», afferma Claudio Albertini, direttore generale di Unipol Merchant.

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