Copiamo la Francia che dice no al burqa

RomaLa Francia dice no alle donne senza volto e senza sguardo, alla cancellazione dell’identità e della soggettività femminile imposta attraverso il burqa. E in Italia che si fa? Nel nostro Paese seguendo una deleteria tradizione, già demolita trent’anni fa da Nanni Moretti, «si apre il dibattito». Eppure molti e autorevoli rappresentanti della maggioranza e del governo condividono la netta posizione francese, espressa dal presidente Nicolas Sarkozy qualche mese fa: «Il burqa non sarà mai il benvenuto in Francia in nessuna condizione e in nessuna circostanza». Il rapporto messo a punto dalla commissione parlamentare francese guidata dal deputato comunista, André Gerin, raccomanda che l’uso del burqa e del niqab (il velo islamico che copre il volto delle donne) venga vietato nei luoghi pubblici: scuole, ospedali, mezzi di trasporto, uffici.
«Assolutamente favorevole» a questo divieto il ministro per le Pari opportunità, Mara Carfagna, che definisce il burqa l’espressione della «volontà di mortificare la donna e tenerla in una condizione di sottomissione e vera e propria segregazione» e promette al più presto di varare un divieto analogo anche in Italia. D’accordo pure il ministro per la Semplificazione, Roberto Calderoli, e il sottosegretario alla Giustizia, Roberto Castelli. Proprio il capogruppo, Roberto Cota, ha presentato alla Camera una proposta di legge per vietare l’uso del burqa e del niqab così come sono già vietati caschi, passamontagna o qualsiasi altra copertura che renda impossibile o difficoltoso il riconoscimento, legando la questione soltanto a motivi di sicurezza.
Ma quella della Lega non è la sola proposta in questo senso. «All’esame in commissione Affari costituzionali della Camera c’è la mia proposta per vietare l’utilizzo del burqa in Italia», ricorda Souad Sbai, presidente dell’Associazione donne marocchine in Italia e deputata Pdl. «La mia è un’iniziativa a favore delle donne contro gli estremisti che vogliono imporre la loro politica sulla testa delle donne: il burqa non è un simbolo religioso», dice la Sbai che dunque rafforza il no al velo islamico, ponendo la questione del rispetto dell’identità femminile oltre quella della mera sicurezza e ricordando pure che con il divieto non si offende il sentimento religioso.
Su questo ultimo punto a dare ragione alla Sbai ci sono gli intellettuali musulmani, associazione presieduta da Ahmad Gianpiero Vincenzo. «La decisione di proibire il velo integrale nei luoghi pubblici è perfettamente compatibile con l’islam», avverte Vincenzo.
Accanto a quelle di Lega e Pdl giace da tempo un’analoga proposta di legge di Daniela Santanchè. «Apprezzo il coraggio della Francia e mi dispiace che l’Italia sia in ritardo», dice la Santanchè.
Ma perché l’Italia è in ritardo? Forse perché nell’opposizione ma anche dentro la maggioranza c’è chi la pensa «al contrario». Ovvero che vietare il burqa e non la sua imposizione, sia una violazione dei diritti della persona. Ad esempio nel pensatoio finiano di Farefuturo che fa un ragionamento analogo a quello del Pd. Pur riconoscendo come «in linea di principio proibire l’utilizzo del burqa è un’idea che può esser giusta», Farefuturo poi apre un ventaglio di distinguo che finiscono per accreditare la versione che dietro il divieto del burqa non ci sia la volontà di tutelare le donne ma quella di annullare «gli usi di altri popoli», finendo per ledere il principio di libertà religiosa. Stesso concetto espresso dal finiano Fabio Granata, che definisce quello del burqa un falso problema perché riguarda «un numero irrisorio» di persone in Italia e perché non si può con una legge intervenire per risolvere una questione di «natura culturale». Certamente l’imposizione di uno stile di vita islamico è stato un problema vero però per Sanaa e Hina, uccise dai loro padri perché volevano vivere come le altre ragazze «occidentali». E altrettanto certamente c’è che tra gli usi e i costumi di una parte dell’islam ci sono anche l’infibulazione e la poligamia.

Allora che si fa? Dobbiamo tollerare e accettare anche questo?
Infine anche il ministro degli Esteri, Franco Frattini, mette le mani avanti e nel timore di mancare di rispetto verso i sentimenti religiosi si dice «contrario al divieto» pur riconoscendo che esistono esigenze di sicurezza.

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