Il coraggio dei dissidenti mette a rischio il castrismo

NUOVA INIZIATIVA L’opposizione cubana chiede la mediazione della Costa Rica

Il coraggio dei dissidenti cubani, pronti a lasciarsi morire per la causa della libertà, potrebbe segnare l’inizio della fine del regime? È possibile, qualche crepa nel muro della solidarietà internazionale al castrismo è già visibile. Crepe recenti. Quando il 24 febbraio scorso morì, dopo 85 giorni di sciopero della fame, il dissidente cubano Orlando Zapata, il regime non parve particolarmente preoccupato per le ricadute della tragedia. Trasformò anzi senza ritegno il funerale del «mercenario degli Stati Uniti» in una trappola poliziesca ai danni dei suoi simpatizzanti, arrestando decine di persone che erano convenute nel villaggio natale di Zapata per dargli l’ultimo saluto. Dall’estero furono in pochi a creare problemi: gli Stati Uniti e l’Europa elevarono proteste abbastanza formali, mentre l’ex presidente polacco Lech Walesa (che di dissidenza anticomunista è un esperto avendo assaggiato la galera) rivolse un appello a tutti i premi Nobel per sollecitare la liberazione di tutti i prigionieri politici cubani. Stop. Ma i fratelli Castro ebbero ampiamente a consolarsi: il compañero venezuelano Hugo Chavez osservò uno sprezzante silenzio sulla morte di Zapata, mentre il presidente brasiliano Lula, proprio in quei giorni in visita a Cuba, evitò a fatica di dire esplicitamente ai giornalisti occidentali che non gliene importava un bel nulla, pronto invece a sdilinquirsi nel definire il suo incontro col vecchio Fidel «una rimpatriata tra vecchi compagni». I socialisti spagnoli rimasero poi fedeli anche in quel giorno tragico alla linea del dialogo con la Cuba rossa: il premier Zapatero, che il giorno dopo la morte di Zapata parlava alla commissione Onu dei diritti umani, “dimenticò” casualmente la questione, salvo poi “ricordarsene” l’indomani dopo la lettura dei giornali spagnoli che lo criticavano.
Ora che il coraggioso Zapata è sottoterra, è l’ora di Guillermo Farinas. Giornalista e psicologo di 48 anni, in sciopero della fame da 18 giorni per ricordare al mondo che 26 detenuti politici cubani sono in galera nonostante siano malati e sofferenti. Farinas non ha paura di morire. Ripete anzi che è pronto a fare la fine di Zapata se servirà alla libertà dei cubani. A Walesa che giovedì scorso al telefono gli ricordava che Cuba ha bisogno di persone come lui da vive, ha risposto di non voler cedere e gli ha chiesto di «portare un fiore sulla mia tomba quando Cuba sarà libera». Nobile e toccante. Ma quel che più conta è che il coraggio di Farinas sta cambiando qualcosa. Intanto, i gerontocrati dell’Avana hanno capito che stavolta il dissidente non deve morire. Dopo il suo secondo collasso, lo hanno ricoverato in rianimazione e sottoposto a reidratazione e cure. Elizardo Sanchez, portavoce di un gruppo di opposizione illegale ma in qualche modo tollerato, ha detto di aspettarsi che Farinas «rimarrà in ospedale settimane o mesi» perché «ci sono state troppe proteste nel mondo».
Sì, perfino in Brasile, perfino in Spagna. L’opposizione brasiliana sta attaccando Lula, che martedì era tornato a parlare come mangia definendo i dissidenti cubani «delinquenti comuni»: la Commissione Esteri del Parlamento di Brasilia ha approvato una mozione che definisce «deplorevoli» le affermazioni del presidente ed esprime «solidarietà» ai dissidenti cubani. L’importante quotidiano Folha de São Paulo ospita inoltre un intervento dello scrittore cubano dissidente Carlos Montaner intitolato «Lula delude il mondo». Anche in Spagna è la stampa a dare segnali di cambiamento. Il quotidiano filosocialista El Paìs torna a definire «irragionevole» la linea della presidenza spagnola dell’Ue che punta a strappare concessioni umanitarie all’Avana «attraverso un dialogo esigente». Così, argomenta, si ottiene solo «un peggioramento dei diritti umani a Cuba» e «meno che mai è il caso di insistere dopo la morte» di Zapata. Chissà che i politici di sinistra non ascoltino almeno i giornali a loro vicini.


Intanto i dissidenti cubani aprono un nuovo fronte. Delusi da Lula si sono rivolti al presidente del Costarica Oscar Arias affinché medi nella vicenda Farinas. E Fidel rimpiange i “bei tempi” in cui nessuno osava importunarlo.

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