Corea, mobilitata la flotta Usa ma Obama non vuole la guerra

Il giorno dopo l’aggressione a Yeonpyeong l’America placa l’angoscia di Seul mandando una portaerei, ma punta a ridimensionare la gravità dell’accaduto: vuole che riprendano i negoziati con Pyongyang sulla questione nucleare. In Corea del Sud il ritrovamento dei cadaveri di due civili, vittime del brutale bombardamento nordcoreano sull’isola “nemica” che già aveva provocato due morti e 18 feriti, non ha fatto che accrescere ieri i sentimenti di paura e di rabbia tra la popolazione. Paura per l’evidente disprezzo della vita umana dimostrato con l’attacco di martedì, e rabbia perché la sensazione è che la linea di prudenza adottata dal governo di Seul non farà che incoraggiare la proterva aggressività del regime comunista del Nord.
Mentre le televisioni sudcoreane non fanno che trasmettere angoscianti interviste alle centinaia di persone fuggite dall’isola devastata, ieri a Seul decine di manifestanti furibondi hanno bruciato in pubblico bandiere nordcoreane, chiedendo «vendetta». Ma è molto improbabile cha accada niente del genere. Nessuno, America in primis, vuole che la tensione tra le due Coree, già altissima, s’impenni ulteriormente. E il timore che l’irrazionale leadership di Pyongyang faccia ricorso alle armi atomiche di cui risulta disporre fa il resto.
Ieri è bastato che Seul annunciasse il blocco degli aiuti umanitari che fornisce al Nord ridotto alla fame perché da Pyongyang piovessero pesanti minacce, sempre profferite con un linguaggio brutale e violento: «Queste provocazioni portano la penisola sull’orlo di una guerra» e «La nostra artiglieria non è ancora a riposo». A tali minacce verbali, seguito diretto della concreta violenza appena esercitata, Seul e l’alleato americano, che ha confermato l’impegno a difendere la Corea del Sud, rispondono con l’annuncio di imminenti manovre navali congiunte. La portaerei «George Washington», che ha a bordo 75 aerei e un equipaggio di seimila uomini, ha già lasciato una base americana in Giappone per partecipare allo sfoggio di forza di quattro giorni che avrà luogo a poca distanza dal sito dell’aggressione nordcoreana di martedì.
A parte queste reazioni militari quasi di routine, l’America mette in campo in queste ore uno sforzo diplomatico. A Pechino è presente l’inviato speciale Usa per la questione nordcoreana Stephen Bosworth: il messaggio di Washington alla Cina è una richiesta di collaborare a fare pressioni su Pyongyang affinché rinunci a simili aggressioni e si dimostri collaborativa sulla delicata questione nucleare. La linea americana è: l’attacco a Yeonpyeong è un episodio isolato e non l’avvio di una crisi, bisogna tornare ai negoziati.

Ma secondo analisti cinesi, non è affatto probabile che Pechino raccolga la richiesta, in quanto rifiuta di attribuire alla sola parte del Nord la responsabilità dell’accaduto.
Intanto l’Italia dà un piccolo segnale: «in segno di rispetto per le famiglie dei morti e dei feriti» la nostra ambasciata a Pyongyang ha annullato un concerto con musicisiti italiani e nordcoreani.

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