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La Corea del Nord rinuncia all’arma atomica

E adesso si profila l’inizio di colloqui per normalizzare i rapporti diplomatici

Andrea Nativi

La Corea del Nord ha accettato di rinunciare alle armi nucleari, sospendendo tutte le attività in corso e accettando il ritorno degli ispettori dell'agenzia internazionale per l'energia atomica, l'Aiea. Il Paese comunista si è anche detto disponibile a sottoporsi al regime ed alle condizioni previste dal trattato contro la proliferazione nucleare, l'Npt. Il tutto in cambio di una serie di garanzie della propria sicurezza, un pacchetto di cooperazione economica e di forniture di energia.
L'inatteso sviluppo arriva a tre anni dalla crisi scoppiata con la cacciata degli ispettori internazionali dalla Corea del Nord, nel dicembre 2002, e dopo due anni di estenuanti negoziati tra i rappresentanti del regime di Pyongyang e quelli di Stati Uniti, Giappone, Cina, Corea del Sud e Russia. L’accordo è stato ottenuto grazie alla decisione di rinviare a un secondo tempo temi critici, come la fornitura da parte delle potenze internazionali di almeno un reattore nucleare ad acqua leggera per impiego strettamente civile e di rinunciare a richieste pregiudiziali, come quella Usa all'insegna del «Prima il disarmo, poi gli aiuti». Il dittatore nord-coreano Kim Jong-il ha dichiarato lo scorso febbraio di possedere testate nucleari. L'intelligence occidentale non è sicura su questo punto, ma ritiene che la Corea possegga la tecnologia e il materiale fissile per produrre almeno una mezza dozzina di bombe. Ma nessuno sa se le bombe esistono e sono poi davvero impiegabili militarmente. Meglio comunque non rischiare.
L'approccio pragmatico che ha permesso di raggiungere l’intesa, sottoscritta dopo un ennesimo round di discussioni, il quarto, svoltosi a Pechino in due riprese, alla fine di luglio e dal 13 al 19 settembre, prevede uno stretto collegamento tra il mantenimento degli impegni da parte Nord Coreana e la fornitura degli aiuti e dell’assistenza promesse dai cinque Paesi che partecipano ai colloqui. Ogni azione della Corea del Nord sarà accompagnata dallo sblocco di una parte degli aiuti.
Da Washington il presidente George Bush ha mostrato un prudente ottimismo, celebrando il «sostanziale passo in avanti», ma nel contempo avvisando che alle parole devono seguire i fatti e che nelle prossime settimane occorrerà verificare che in effetti gli impegni siano mantenuti.
Il capo negoziatore Usa, Cristopher Hill, ha detto che una prima mossa positiva sarebbe costituita dalla sospensione delle attività nel centro nucleare di Yongbyon. Ma intanto si parla di normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud e Corea del Nord, in attesa che il prossimo incontro dei sei Paesi, previsto per novembre, porti a definire i dettagli dell'accordo e un calendario per il mantenimento degli impegni.
Sicuramente il risultato dei negoziati è anche conseguenza della disperata situazione dell'economia nord-coreana: secondo il World Food Program, il Paese è sull'orlo di una nuova crisi alimentare, che si preannuncia ancora peggiore rispetto alla carestia della metà dello scorso decennio, che provocò un milione di morti. Ed ora ci sono 6,5 milioni di nord-coreani che soffrono di denutrizione e rischiano la propria vita.

La mancanza di energia e di carburanti rende poi impossibile fornire luce e riscaldamento, anche perché buona parte delle disponibilità è consacrata a soddisfare le esigenze dell'enorme apparato militare, la cui reale efficienza è molto dubbia.

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