«Siamo un paese tardo-corporativo, un Paese di élite arroccate a difesa dei propri interessi costituiti. E il risultato è che si blocca tutto, ogni riforma diventa un'impresa». Alfredo Macchiati, manager e docente di Economia politica alla Luiss di Roma ha appena pubblicato per il Mulino Perchè l'Italia cresce poco, radiografia dei mali della Penisola.
Chi sono i frenatori, le élite che bloccano tutto?
«Sono a geometria variabile. A seconda delle circostanze si mobilita questo o quel gruppo, che scende in campo quando si toccano i suoi interessi. Se si cerca di fare una legge sulla concorrenza a mettersi di traverso sono gli avvocati o i notai, quando si tenta una riforma della giustizia tocca ai magistrati, per cambiare le norme sulle banche popolari bisogna sfidare l'establishment del credito. Lo Stato italiano è onnipresente ma debole. E quelli che inglese si chiamano veto player finiscono con l'avere la meglio. Anzi. Con la seconda Repubblica il loro peso è aumentato. Un tempo i partiti svolgevano un ruolo di mediazione. Certo, c'era una componente ideologica, ma erano loro a tentare una composizione delle forze in gioco. Da quando i partiti hanno perso ogni idealità, gli interessi sono entrati direttamente in Parlamento».
Lei parla di uno Stato onnipresente ma debole. E spesso inefficiente.
«I tempi della pubblica amministrazione sono così lenti da rallentare l'andamento dell'economia. I manuali dicono che il reddito nasce dalla combinazione di capitale e lavoro. Ma se voglio trasformare il mio capitale in macchine e impianti e per costruire una fabbrica, un'infrastruttura, ci metto una vita, il capitale sta fermo e non produce».
Come se ne esce?
Dal punto di vista politico litigando meno. C'è chi ha usato il termine divisività. Ecco, ci vuole meno divisività, bisogna ritrovare il consenso su un progetto di sviluppo.
E in concreto?
«Io avrei tre priorità: fisco, istruzione e Sud. Il fisco italiano è esoso e incapace. Incapace nel senso che va prendere i soldi dove è più facile, in pratica dai lavoratori dipendenti. Bisogna riequilibrare la situazione, mettendo ordine su quelle imposte come l'Iva dove ormai le eccezioni e le agevolazioni sono diventate la regola. Qui l'Europa potrebbe dare una mano. Allentando le regole sull'austerità consentirebbe di aumentare di qualche decimale di punto il deficit, non per aumentare le spese ma per diminuire le imposte. Quanto all'istruzione i dati ci dicono che siamo un paese ignorante. È brutto dirlo ma è così. Il 43% delle persone in età lavorativa non ha un titolo di scuola superiore. E con poca qualità crescere è difficile.
Quanto al Sud...
«Il Paese non può cambiare se un terzo del suo territorio è in fondo a tutte le classifiche europee
di sviluppo. Bisogna pensare a qualcosa, una sorta di new deal, un'agenzia nazionale che imposti progetti seri sui cui il Paese investa. E sia esterna alla burocrazia, nazionale e regionale, che non ha dato buona prova.AA
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