Politica

La corsa di Angela

Da ieri la Cancelliera Merkel è Angela superstar: il 1° gennaio, infatti, la Germania ha assunto sia la presidenza dell'Unione Europea, sia quella del G8, e tutti si attendono grandi cose da lei. Non solo, infatti, la Germania è il Paese guida dell'Europa, ma - con Chirac a fine mandato, Blair in procinto di ritirarsi e lo stesso Bush sul viale del tramonto - la Merkel è oggi l'unico leader occidentale saldo in sella, che può guardare al 2007 con fiducia e permettersi di fare progetti a medio termine. La sua agenda, infatti, è di tutto rispetto: come presidente di turno della Ue, vuole rilanciare il processo costituzionale bruscamente interrotto dai referendum francese e olandese; come presidente del G8, si propone di varare un piano per combattere il surriscaldamento del pianeta che vada al di là del protocollo di Kyoto e non imponga ai Paesi aderenti costi impossibili.
La Cancelliera è convinta che, se non riuscisse ad adeguare le sue istituzioni alle nuove esigenze poste dall'allargamento, l'Unione Europea potrebbe diventare ingovernabile. Appena preso possesso della sua carica, ha lanciato agli altri Paesi membri un messaggio inequivocabile: «L'Europa potrà essere un successo soltanto se ognuno farà i compiti a casa». La sua idea è di rivedere, nel corso del semestre di presidenza tedesca, il progetto di Costituzione già ratificato da 18 Paesi, ma bocciato da francesi e olandesi, in modo da salvarne le parti essenziali e farlo approvare in tempo per le elezioni parlamentari del 2009. Le stanno a cuore, in maniera particolare, lo snellimento dei processi decisionali e la istituzione di un ministro degli Esteri dell'Unione che, nei momenti di crisi, possa farla parlare con una voce sola. Questo appare particolarmente urgente in un momento in cui bisogna porre su nuove basi il rapporto con la Russia, cercare di consolidare il nuovo ruolo che l'Europa si è ritagliata in Medio Oriente e risolvere la spinosa questione del Kosovo.
Per riuscire, Angela Merkel dovrà anzitutto vincere la battaglia contro il tempo. Non solo sei mesi sono pochi per una incisiva azione diplomatica, ma sarà praticamente impossibile rilanciare il processo di integrazione prima delle elezioni presidenziali francesi, in programma tra aprile e maggio, e prima che a Londra Gordon Brown succeda a Tony Blair. Se a Parigi vincesse Nicolas Sarkozy, la Cancelliera acquisirebbe un alleato che in larga misura condivide le sue idee; se invece dovesse prevalere Ségolène Royal, le contraddizioni interne del Partito socialista, venute a galla in occasione del referendum, renderebbero una azione comune abbastanza difficile. In teoria, la Merkel dovrebbe potersi avvalere anche dell'appoggio dell'Italia, ma con il governo Prodi «che passa di crisi in crisi» - come scrive la International Herald Tribune - c'è poco da farci conto. Invece, Berlino dovrà confrontarsi con una certa riluttanza dei Paesi più piccoli a concedere maggiori poteri a Bruxelles, nel timore, diffuso soprattutto tra i nuovi membri ex satelliti dell'Urss, di diventare gradualmente semplici appendici dei grandi.
C'è poi il capitolo dei «compiti a casa», che fatalmente sfugge al controllo della Cancelliera. I tedeschi sognano non solo un'Europa in cui tutti i Paesi membri abbiano i conti in ordine, ma siano anche disposti ad armonizzare le politiche nazionali su alcuni temi cruciali, come l'immigrazione. Qui le resistenze sono molto forti, soprattutto da parte dei Paesi che, Gran Bretagna in testa, hanno favorito il processo di allargamento anche al fine di ritardare quello di approfondimento.
Se mettere d'accordo i ventisette della Ue sarà un'impresa difficile, quella di pilotare il G8 si presenta, se possibile, ancora più ardua. L'ingresso a pieno titolo nell'organizzazione di una Russia tornata a praticare una politica di potenza, basata sulla sua grande disponibilità di energia, ne ha molto complicato i rapporti interni e, di conseguenza, minato le capacità decisionali. Se, in teoria, la battaglia per l'ambiente è condivisa da tutti, molto diverso rimane l'approccio: e, comunque, qualsiasi misura sarà inutile se non sarà condivisa anche da altri giganti rimasti finora fuori dal club, come Cina, India e Brasile.
Per Angela Merkel ci sono perciò grandi opportunità, ma anche seri pericoli di fallimento: più cercherà di volare alto, più rischi correrà.

Il suo ministro degli Esteri se ne è reso così ben conto, che ha già avvertito che «in sei mesi nessuno può fare miracoli».

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