Corso Buenos Aires tra buche e gradini La via dello shopping non è per disabili

Il viaggio impossibile di Luca, da tre anni costretto su una sedia a rotelle: «Meglio i centri commerciali, qui il metrò non ha nemmeno l’ascensore»

Luca allunga la mano verso il gradino del negozio. Allarga le dita per prendere le misure. «Saranno dieci centimetri, una spanna o poco più. Io non posso entrare». La strada vista da una carrozzina ha un orizzonte completamente diverso: è una mappa sulla quale segnare in rosso gli ostacoli, le buche, le discese e le salite. E in verde i punti più facili dai quali salire e scendere, lasciar correre le ruote di gomma senza che si infilino tra le grate della metropolitana o nelle fessure del pavé. I posti in cui andare un disabile li sceglie così, facendo una sottrazione fra il desiderio e la possibilità concreta di arrivarci e vedendo quello che rimane. E questo vale per tutto, persino per comprarsi un paio di pantaloni o per andare in banca, per prendere un treno o un libro. Corso Buenos Aires, dicono che sia la seconda via dello shopping a Milano e forse in Europa. Su questi marciapiedi ci camminano centinaia, migliaia di persone ogni giorno: uno scampolo di umanità in cui si trova un po’ di tutto, stranieri, italiani, extracomunitari, ricchi e poveri. Eppure, in corso Buenos Aires, un disabile non riesce ad entrare nei negozi. A meno di non fare delle acrobazie, a meno di non essere sportivi comunque e ad ogni costo e per forza. A meno di non impennarti sulle ruote all’indietro, cercare una fessura in cui infilare le dita per trovare un aggancio o avere qualcuno che ti aiuta a superare quel maledetto gradino. A meno di non fare il giro dall’altra parte ed entrare dal retro del negozio. «Sempre che tu lo sappia e che ci sia».
Per fortuna ci sono i grandi centri commerciali, lì è tutta un’altra cosa, questi problemi non esistono. «È un dato di fatto che per noi sia più facile: sono un porto sicuro - racconta Luca -. Ci sono gli ascensori, i bagni. Gli spazi sono a misura di carrozza, hai la possibilità di fare tutto. Di comprarti i vestiti, prendere un caffè al bar senza doverti arrampicare sul bancone. Le strade sono lisce e i parcheggi comodi». C’è anche chi fa gli aperitivi ai grandi centri commerciali, o si dà appuntamento lì con gli amici per prendere una pizza. E però...
Però il negozio preferito di Luca è la Feltrinelli di corso Buenos Aires, al primo piano ci sono gli strumenti musicali. Prima studiava pianoforte, poi dopo quella dannata sera in cui una macchina non gli ha dato la precedenza e l’ha falciato in moto paralizzandolo dalle spalle in giù, ha lasciato anche quello. «Non arrivavo ai tasti e in un momento di sconforto ho mollato».
È giovane, ha solo 28 anni e da tre vive in «carrozza» come la chiama lui, fa l’educatore e lavora con i ragazzi con disabilità intellettiva. La vita è cambiata da quel giorno, certo. Nemmeno a chiederlo, che discorsi. Ma lui si è detto che era in ballo e doveva comunque ballare su due ruote. L’ingresso principale della libreria è inaccessibile, Luca gira le ruote e si incammina verso il retro del negozio. Si ferma davanti ad una porta scorrevole con i vetri oscurati a metà. «Devo stare qui a bussare e quando qualcuno si accorge, mi apre». Sì, va bene, ma non è possibile che ogni volta debba essere così. «Quello che si deve fare capire è la necessità, la necessità di potersi muovere in modo indipendente e di essere indipendenti. Le colpe sono tutti, normodotati e di quelli in carrozzina che spesso non escono nemmeno di casa». Troppi ostacoli, troppi disagi.
Lui appartiene ad un’altra categoria, di chi ha vissuto una vita prima di finire in carrozzina e che ha deciso di continuare a viverla. «Vorrei organizzare una critical mass dei disabili. Ti immagini che casino se il 23 dicembre veniamo tutti qui in corso Buenos Aires a fare gli acquisti di Natale?».
Da Corso Buenos Aires alla Stazione Centrale saranno più o meno dieci minuti a piedi. Quindici in carrozza. Fa caldo e vorremmo prendere la metropolitana per andare a casa. C’è un cartello all’uscita delle scale mobili proprio di fronte all’edificio appena restaurato che indica un accesso facilitato. Ma non c’è nessun ascensore, tantomeno un elevatore. Se fosse davvero così, vorrebbe dire che una persona in carrozzina non può uscire dalla metrò e nemmeno entrarci.

In una delle fermate principali di Milano, la città del futuro e dell’Expo. «La invito a spostarsi nella stazione più vicina. Qui non c’è modo di far scendere o salire un disabile dalla metropolitana. Ci dispiace, ma è proprio così».

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