nostro inviato a LAquila
Dai 300mila di via Tolemaide a Genova ai 3mila di Porta Napoli a lAquila. A pochi giorni dalla ricorrenza del G8 del 2001 in cui morì il disobbediente Carlo Giuliani, il movimento no global tira le cuoia con una malinconica processione fra le macerie di un terremoto che si voleva strumentalizzare politicamente. Lestrema unzione gliela dà la manifestazione organizzata dal cosiddetto Patto di base, sigla onnicomprensiva di Cobas, Rdb, Sdl, a cui si sono appoggiati una decina di centri sociali arrivati insieme ai reduci di Rifondazione comunista oltre a qualche sfigato black bloc. Doveva essere loccasione per far scendere in piazza gli aquilani, che invece se ne sono rimasti tutti in tenda, neanche un poco incuriositi dal passaggio del piccolo corteo che allora di pranzo ha lasciato Paganica per avviarsi mestamente lungo la Statale 17 dove la questura aveva studiato un tracciato a tradimento: sette chilometri sotto il sole con strappo finale e durissima scalata, fino a quella Villa Comunale utilizzata nel 2005 come traguardo della più ostica tappa del giro dItalia vinta dallabruzzese Danilo Di Luca. A ridosso della zona rossa, a trecento metri da piazza del Duomo, al capolinea degli antagonisti son volate parole grosse più che per i Grandi della Terra, da ore già in volo per la Capitale, per i compagni dei piccoli comitati civici locali che a differenza del circolo Epicentro solidale (un suo striscione apriva la sfilata) hanno boicottato il raduno per timore di disordini, controproducenti alla causa. Mente e coordinatore della spaccatura interna al movimento, lo speaker della rete aquilana 3e32, Mattia Lolli, autore sia del ta-tze-bao di benvenuto a Obama sui monti di Roio (Yes we camp) sia di un celebre scontro radiofonico con Guido Bertolaso, accusato di gestire male lemergenza e la protezione civile. Per la cronaca, Mattia Lolli è figlio di Giovanni, il deputato del Pd che prima di accompagnare lamico Veltroni e lattore George Clooney in giro per la città ferita aveva fatto da cicerone a Claudio Baglioni e Gianni Morandi nelle tendopoli di San Gregorio e Tempera. Sarà per questo che qualche slogan contro i papaveri romani del partito democratico, a due passi dal new town in contrada Bazzano, ha fatto più rumore dei maldestri tentativi - abortiti sul nascere - di attaccare i cantieri delle case che il governo Berlusconi ha promesso di realizzare prima dellinverno.
Oltre allo grido ritmato di «A-qui-la/li-be-ra» i no global in marcia hanno alternato un «tutti-li-be-ri» di solidarietà ai manifestanti ammanettati per i tafferugli al G8 di Torino e ai quattro militanti dei Carc (organizzazione coinvolta in indagini sulleversione rossa) fermati dalla finanza a Carsoli perché trovati in possesso di un coltello, volantini e manici di legno. Il semplice fermo, con rilascio immediato, dei «compagni Francesco, Diego, Alessandro e Gabriele» sè trasformato - nelle parole di una isterica signora che ha strappato il microfono allo speaker sul carro dei Cobas - in una «retata orchestrata dallo Stato». La tensione, ai minimi storici per un raduno del genere, sale precipitosamente. Un sasso centra a un occhio un poliziotto, i celerini indossano precipitosamente i caschi dordinanza, qualche scalmanato inizia a premere e urlare frasi sconnesse al cordone di divise blu piazzato davanti il Grand Hotel. Se la situazione non è degenerata bisogna dire grazie agli agenti e ai carabinieri rimasti di marmo e soprattutto al vecchio padre dei Cobas, Piero Bernocchi, arrampicatosi sul furgone imbandierato a strappare lui il microfono allesagitata di prima, per dire che «no, non è vero niente, non è stato arrestato nessun compagno. Non diamo notizie del genere, non ci possiamo permettere di fare casino. Adesso basta, torniamo a Roma, tutti sui pullman, avanti». Gli animi, surriscaldati, si raffreddano nel mentre il servizio dordine dei comitati di base si dispiega rapido e compatto, in parallelo, a difesa delle forze dellordine. Unimmagine senza precedenti che dà il senso della giornata epocale.
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