Il corteo, l’ultimo malessere Pd

da Roma

La prima preoccupazione di Walter Veltroni, dopo la svolta barricadiera sancita con l’intervista del week end a Repubblica, è quella di cercare di smentire la sensazione di un Pd senza bussola che sta finendo a rimorchio del populismo di Antonio Di Pietro.
Una sensazione che sta creando profondo malessere innanzitutto nelle sue file, e che ha pesanti contraccolpi nei sondaggi. «Il timore di molti di noi - spiega Lino Duilio, ex Ppi che oggi milita nelle file della dalemiana Red - è che se ci infiliamo nella strettoia del muro contro muro finiamo per consolidare sempre più il vantaggio del centrodestra, che vede Berlusconi sotto attacco da parte dei magistrati e si compatta, e ingrassiamo a nostre spese i consensi di Di Pietro».
Il quale, nel frattempo, non esita neppure un istante ad alzare il tiro approfittando dello stato confusionale del Pd, e lo sfida apertamente a scendere in piazza al suo fianco e sotto le sue bandiere contro il Caimano. La manifestazione girotondina dell’8 luglio è diventata in pochi giorni una mina pericolosa per Veltroni: l’assemblea dei deputati Pd, convocata ieri pomeriggio nella Sala della Regina della Camera, rischiava di trasformarsi in una conta tra chi vuol scendere in piazza e chi si rifiuta, sancendo una nuova spaccatura nella maggiore forza di opposizione. «Con i girotondi non si vince, ci hanno solo portato male», ha avvertito il capogruppo Soro. Furio Colombo, l’ex direttore dell’Unità che proprio Veltroni ha voluto portare a Montecitorio, era pronto a dar fuoco alle polveri con un accorato appello a manifestare contro le nuove «leggi vergogna», chiedendo ufficialmente l’adesione del partito. Il segretario del Pd lo ha pregato di desistere, e poco prima che la riunione iniziasse è riuscito a convincerlo. Poi ha aperto le porte dell’assemblea ai giornalisti, e ha preso pubblicamente le distanze da Di Pietro, da cui «ci separa moltissimo»: i suoi insulti «sono un regalo a Berlusconi, perché certi toni aiutano solo al destra. E io non mi faccio spaventare se qualcuno urla più forte di me». Quanto all’8 luglio, «il Pd partecipa solo alle manifestazioni che promuove e di cui condivide i contenuti», a «grandi manifestazioni di popolo» e non a quelle «dove ci si conosce per nome». Se poi qualche democrat ci vorrà andare, le sue saranno «scelte personali».
Un tentativo di correggere la rotta che però non basta a rassicurare le varie anime del partito. C’è Parisi che torna alla carica: «Il Pd ha due linee, il segretario mi pare che non ne abbia nessuna». Ma è in casa dalemiana che si respira l’aria più pesante. «A sinistra - lamenta Gianni Cuperlo - c’è un’anima civile e garantista che pensa che la separazione delle carriere non sia più un tabù, che l’obbligatorietà dell’azione penale sia l’alibi di molti arbitrii, che il Csm abbia assunto un ruolo abnorme. Ma in questo clima sta diventando impossibile dirlo». Un altro buon amico dell’ex ministro degli Esteri si sfoga: «Al primo stormire di fronde giudiziarie Veltroni ha sentito il richiamo della foresta ed è tornato a fare il portavoce di Repubblica contro il Caimano. Spero che ora Berlusconi apra gli occhi sulla tenuta di quelli con cui ha voluto sancire patti di ferro prima delle elezioni: è un errore che sta pagando». Se Veltroni assicura che il centrodestra «non è più un’invincibile armata», e segnala «cali di consenso» e primi scricchiolii nella maggioranza, i dalemiani scuotono la testa: «Berlusconi vuole evitare una sentenza che gli sbarrerebbe la strada per il Quirinale. E la coalizione, Lega in testa, lo seguirà fino in fondo, perché nessuno ha interesse a vederlo condannato. Su una linea garantista ha l’appoggio popolare: ma deve stare attento a non andare con gli scarponi chiodati, per non mettere in difficoltà Napolitano che sta cercando di presidiare una linea di ragionevole mediazione». D’Alema, che ieri ha disertato la riunione dei parlamentari perché era al congresso dell’Internazionale socialista, aspetta l’autunno mentre Veltroni si reimbarca sul pullman per girare l’Italia.

Poi, dicono i suoi, «cominceremo a dire la nostra, perché il Pd deve ricominciare a fare politica e non solo agitazione. Sperando che anche Berlusconi capisca che, se abbandona il sogno del papocchio bipartitico con Veltroni, un’alternativa di dialogo c’è».

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