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«Così aiutiamo i malati a tornare a vivere»

In Italia esistono una settantina di centri specializzati per la cura e riabilitazione dei cerebrolesi. I medici: bisogna aiutare le famiglie

«Così aiutiamo i malati a tornare a vivere»


nostro inviato a Verona

È sabato sera, l’asfalto è viscido. Un’auto con quattro giovani finisce fuori strada: in tre riescono ad aprire le porte e si trascinano sull’erba, una ragazza di 19 anni non da segni di vita. Viene ricoverata a Trento in ospedale, dove rimane per giorni in coma. Sembra addormentata, ma è impossibile svegliarla, non è cosciente, non risponde ad alcun stimolo. Lascia la rianimazione e viene trasportata in un ospedale veronese specializzato nella riabilitazione dei cerebrolesi. Dopo 8 mesi riacquista alcune funzioni cognitive, riesce progressivamente ad esprimersi, solo poche parole, muove solo un braccio. Sono passati cinque anni da quel sabato sera e la ragazza di Trento ha recuperato quasi completamente la sua capacità motoria. Ha trovato un lavoro, è fidanzata. La sua qualità di vita è più che soddisfacente, è quasi normale. Il risveglio dopo il coma e il recupero delle capacità motorie e cognitive è assai frequente, in genere avviene dopo giorni o settimane, a volte dopo anni.
In Italia quasi 50mila persone subiscono annualmente lesioni al cervello in seguito ad un trauma (incidente) o una malattia (emorragia o altro). Perdono la coscienza, la motilità spontanea, la sensibilità, ma registrano anche una alterazione delle funzioni vitali, come quelle della respirazione, della pressione arteriosa, dell’attività cardiaca. Tanti escono poi dal coma, ma circa 3500 rimangono in uno stato vegetativo che è quasi sempre irreversibile. Sono 12-13mila i casi all’anno che presentano una gravità di grado intermedio e 30mila, invece hanno un coma di lieve entità, queste ultime con ottime possibilità di recupero. Circa il 50% dei cerebrolesi registra tuttavia menomazioni motorie o cognitive, con riduzione della partecipazione sociale e dell’autonomia.
La capacità di recupero di questi pazienti cerebrolesi che hanno conosciuto il coma dipende dalle terapie adottate negli ospedali, dai medici che li hanno curati, ma molto dai percorsi di recupero riabilitativo e dall’amore che ha saputo esprimere la famiglia e tutti coloro che hanno partecipato a questo processo di rinascita. «Non vi sono ancora delle linee–guida che stabiliscano procedure terapeutiche definite per i cerebrolesi», ricorda Paolo Boldrini, membro del direttivo della Società italiana di medicina fisica e riabilitazione (Simfer) e primario dell’Unità per la riabilitazione delle gravi cerebrolesioni dell’Ospedale di Ferrara, uno dei 60-70 Centri italiani (presenti soprattutto nel Centro-Nord) specializzato nella cura e nella riabilitazione di questi pazienti. «Le persone che sopravvivono ad un grave trauma o a malattie cerebrali, grazie alle sempre più efficaci cure sanitarie, necessitano – aggiunge Boldrini – di interventi specifici e prolungati di riabilitazione il cui carico non deve gravare solo sulla famiglia. Sono inoltre necessari proprio in conseguenza alla ridotta autonomia e alle menomazioni motorie e cognitive di queste pazienti piani di assistenza e aiuti concreti per reinserirli nella società».

Al Palazzo della Gran Guardia di Verona oltre 600 persone, tra cui medici specialisti, operatori sanitari, rappresentanti delle famiglie con persone cerebrolese, esponenti del volontariato, si sono incontrate giovedì e venerdì per una Conferenza nazionale di Consenso sui bisogni riabilitativi ed assistenziali delle persone post-comatose.

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