Più alto si leva il clamore sui punti controversi della manovra finanziaria e con più lena, lontano dai riflettori, un partito sotterraneo e trasversale si adopera per disattivare e depotenziare i pur modesti tagli ai costi della politica.
La tattica è ben nota: l’annuncio dei tagli riempie i titoli di testa e poi un efficiente esercito di azzeccagarbugli comincia a eccepire distinguo, competenze violate, autonomie costituzionalmente tutelate, dopo di che si stabilisce di insediare un bel comitato (possibilmente retribuito) che debba dirimere la spinosa questione. Il gioco è fatto: il neopresidente del «comitato tagli» stabilisce un aggressivo calendario di riunioni, alla prima mancherà il numero legale, alla seconda si decide che occorre avvalersi di qualche prestigiosa consulenza (retribuita) e affidata a qualche amico, si aspettano mesi, nel frattempo non si è tagliato nulla e, anzi, si sono magicamente create più poltrone e più spese.
Chi vi scrive non è mai stato un pasdaran dell’anticasta: la crisi del debito europeo non si fermerà davanti all’abolizione del sindaco di Capraia o alle assi incrociate eventualmente apposte all’ingresso dell’Accademia della Crusca, il fatto è che questa crisi ci sta insegnando una cosa importante e drammatica: che probabilmente in futuro dovremo sempre più fare da soli e quindi questi tagli s’hanno da fare per noi, perché la competizione non ha pazienza e non ha riguardi, non tollera i pesi morti e il parassitismo pernicioso che permea la macchina statale.
Basta, è per questo che si deve tagliare: per i certificati c’e’ internet e nessun nulla osta ha mai fermato alcuno degli ecomostri che affliggono la penisola. Prendiamo ad esempio le solite Province: nel decreto se ne stabilisce la soppressione al di sotto della soglia di trecentomila abitanti, poi è intervenuto il primo codicillo che ne «salva» quelle di grande superficie territoriale. Si tratta di una manfrina già vista e stravista, anche nella passata finanziaria si prevedeva la stessa identica cosa, con la succulenta variante del salvataggio per le Province confinarie. Vi risulta che qualche provincia sia mai stata abolita? Certo che no, come non accadrà nemmeno stavolta.
Già le Regioni a statuto speciale hanno messo le mani avanti dicendo che la questione provinciale è di loro esclusiva competenza, poi si dovrà attendere il censimento, la scadenza dei mandati, insomma, il nulla più assoluto.
L’accorpamento dei Comuni poi sta già scadendo in burletta: si riesumano antiche faide tali da rendere assolutamente improponibile l’unione con gli odiati vicini, spuntano dal nulla nuovi abitanti in modo da superare le soglie di sparizione e non manca chi pensa di costituirsi in principato, granducato o altre idiozie simili.
Nemmeno vale la pena di aprire il libro degli enti, eliminati sotto i 70 dipendenti.
Apriti cielo, sembra che senza questo o quell’ente prima ignoto all’universo mondo il Paese non possa andare avanti e quindi già si affilano emendamenti e guarentigie.
Delle astuzie poi con cui i parlamentari disattivano ogni proposta di taglio sia del loro numero che delle loro retribuzioni si è già detto molte volte e basti l’esempio in cui l’ultima decurtazione di ben mille euro agli stipendi fu rimpiazzata alla velocità della luce con un gettone di presenza.
Adesso basta. I tagli devono essere confermati, approfonditi e vanno accompagnati dalle stesse clausole di salvaguardia che accompagnano le altre tasse della manovra: in caso di ritardi o trucchetti i risparmi mancati andranno compensati direttamente dalla sforbiciata degli stipendi degli amministratori per pari importo. Un suggerimento finale?
L’Italia è il Paese dei campanili: accorpare Province e Comuni è
antistorico, manteniamoli tutti ma solo geograficamente. Lasciamo insegne, bandiera, nome e diciamo che l’unica cosa che sparirà sarà il palazzo contenente politici e burocrazia statale. Vedrete che saranno tutti d’accordo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.