Così le coop rosse entrano nel salotto buono

La prospettiva che sia Unipol il perno del salvataggio di Fonsai dopo il crepuscolo dell’era Ligresti, ha due dirette conseguenze. La prima, industriale, è la probabile nascita del secondo peso massimo delle polizze in Italia alle spalle delle Assicurazioni Generali. La seconda, politica, è l’avvicinamento tra due mondi apparentemente lontanissimi: quello di Unipol, dove a dettare la strategia continua a essere l’animato mondo delle cooperative tramite la holding Finsoe (che controlla il 31% del capitale), e quello di Mediobanca, la più blasonata banca d’affari del Paese, erede del tempio «laico» eretto da Enrico Cuccia e che, con l’ad Alberto Nagel, è il centro nevralgico della grande finanza.
A guidare Unipol, dopo la discontinuità rappresentata dalla gestione di Carlo Salvatori, è il tandem Pierluigi Stefanini (presidente) e Carlo Cimbri (amministratore delegato), già braccio destro di Giovanni Consorte ai tempi della scalata a Bnl. Quando l’ex segretario dei Ds, Piero Fassino, chiese a Consorte: «Abbiamo una banca?».
Ora, invece, si prospetta una liaison tra Cimbri e Mediobanca, che è esposta verso la galassia Ligresti per 1,1 miliardi e negli ultimi 5 anni ha chiesto di cambiare la marcia di Fonsai con tanta determinazione che l’Ingegnere di Paternò ha cercato più volte aiuto altrove (da Vincent Bolloré a Groupama, dal Credit Suisse a Goldman Sachs) fino alla recente resa.
Nagel (e una decina di banker senior) sono impegnati a sostenere l’indispensabile aumento di capitale per rimettere in sicurezza i conti della compagnia: l’obiettivo minimo è riportare il margine di solvibilità verso quota 120% rispetto al 90% attuale, decisamente sotto il minimo di legge preteso dall’Isvap (100%) a tutela degli stessi assicurati. Nella holding Premafin, il baricentro sarebbe invece occupato dal fondo Clessidra di Claudio Sposito, pronto a versare 200 milioni e sostituirsi ai Ligresti. Una prospettiva che ha contribuito al rialzo monstre dei titoli Premafin (ieri +25% a 0,25 euro). Fiducia che sopravanza la carenza di informativa: la Consob ha reso noto che l’istituto delle Bahamas The Heritage Trust possiede dal 2005 il 13,55% di Premafin e non il 12,15% come dichiarato il mese scorso.
Mediobanca, primo azionista delle Generali con il 14%, non può intervenire direttamente in Fonsai, di cui è tra l’altro già grande socio Unicredit (6,7%), a sua volta titolare dell’8,7% di Piazzetta Cuccia. L’intreccio inestricabile ha convinto Mediobanca e Unicredit che il migliore modo per mantenere Fonsai in Italia è affidarla alla «rossa» Unipol o alla «bianca» Cattolica, alternativa ora remota.
Quanto ai rapporti di forza in campo, basta confrontare le capitalizzazioni (353 milioni Fonsai; 905 milioni Unipol) per avere un’idea di quale potrebbe essere il peso di Finsoe nel potenziale aggregato anche nel caso di uno scambio azionario; senza contare che Unipol nei primi 9 mesi dell’anno mostrava un utile consolidato di 72 milioni, raccolta in crescita e un discreto margine di solvibilità.
Al contrario, Fonsai ha terminato l’anno con una perdita di 950 milioni dopo la pulizia di bilancio imposta dal direttore generale Piergiorgio Peluso.
Un’«operazione di sistema» Unipol-Fonsai non risulterebbe sgradita al governo che, con il superministro Corrado Passera, è già intervenuto sul riassetto Edison. Unipol uscirebbe dalla stasi attuale scommettendo sul core business delle polizze (probabile invece la cessione di Unipol banca) e aiuterebbe il fronte Mediobanca-Unicredit.

Ma secondo alcuni osservatori, anche Piazzetta Cuccia, schierando Unipol, otterrebbe un «credito» nei confronti del Pd in vista delle prossime politiche e manderebbe un messaggio alla finanza cattolica in cui affonda le radici Intesa Sanpaolo.

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