Così la Farnesina ha vinto la sua battaglia

«Agli afghani abbiamo concesso il beneficio del dubbio, non ci siamo comportati da potenza coloniale ordinando di rilasciare subito i nostri connazionali. Questo è stato l'approccio vincente» spiega una fonte diplomatica. La svolta, nel caso Emergency, non deriva solo da tatto e prudenza. Per indorare la pillola della liberazione dei tre di Emergency, l’Italia ha rassicurato Kabul sui nostri impegni, come i 1000 soldati che arriveranno in estate, ma non solo. Partirà questa settimana «una missione della Cooperazione italiana per rafforzare il nostro intervento all’ospedale civile di Herat», come ha annunciato ieri Frattini a Palazzo Chigi parlando del rientro in patria dei tre di Emergency. Guarda caso, Rangin Dadfar Spanta, Consigliere della sicurezza nazionale del presidente afghano, Hamid Karzai, è di Herat. Proprio lui punta i piedi contro gli occidentali accusandoli di fare quello che vogliono in Afghanistan. Forse è un retaggio della sua militanza nei Verdi tedeschi, quando era in esilio in Germania durante l'invasione sovietica del suo Paese. Assieme ad Amurallah Saleh, il capo dell’Nds, i servizi afghani, era restio a mollare gli italiani.
Saleh ha subito le pressioni del vicepresidente afghano, Mohammed Fahim, ex signore della guerra nato, come Saleh, nella valle tajika del Pansjsher. Anche la nostra intelligence ha lavorato ai fianchi il capo dei servizi afghani.
Nel Consiglio di sicurezza a Kabul, dal quale dipendeva la soluzione della vicenda, siede anche il ministro degli Interni, Mohammad Hanif Atmar, amico dell'Italia, che attraverso i carabinieri addestra i poliziotti afghani antiterrorismo. Un osso un po' più duro è Abdul Rahim Wardak, ministro della Difesa, fedelissimo degli americani.
I nostri alleati d’oltreoceano e gli inglesi l'avevano giurata ad Emergency, che da sempre spara cannonate verbali contro la guerra della Nato in Afghanistan. L'inviato speciale della Farnesina, Massimo Attilio Iannucci, prima di incontrare Karzai ha visto proprio i rappresentanti inglesi e americani a Kabul. «Difficile che l’ospedale riapra, a breve, con Emergency. Potrebbe passare alla Croce rossa internazionale o a Medici senza frontiere» spiega una fonte de Il Giornale. Organizzazioni umanitarie che fanno del bene sottovoce, senza cercare guai. Doveva succedere lo stesso dopo la tragica gestione del sequestro del giornalista di Repubblica, Daniele Mastrogiacomo, ma poi i ragazzi ribelli di Gino Strada sono tornati.
Tamponati tutti i fronti non restava che convincere Karzai. Fin dai tempi del caso Mastrogiacomo, il governo Prodi, aveva promesso di costruire una strada, in cambio del fatto che il presidente afghano aveva salvato la pelle al giornalista liberando cinque talebani. Karzai ci teneva molto, perché collegava Kabul a Bamyan, l'enclave Hazara, che vota per lui. Il progetto costa 70 milioni di euro, ma dalla parte di Bamyan la strada non procede. Non è escluso che adesso verranno mantenute le promesse da marinaio dell’allora ministro degli Esteri, Massimo D'Alema.
L’inviato speciale Iannucci, l’ambasciatore a Kabul, Claudio Glaentzer, e l’esperto legale della Farnesina, Rosario Aitala, hanno fatto un lavoro di cesello diplomatico sulla tempistica della crisi. In una settimana sono riusciti a liberare gli italiani. A tre giorni dall’arresto il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, scriveva la lettera a Karzai, con tutte le richieste e le garanzie del caso. Frattini faceva lo stesso con il ministro degli Esteri afghano Zalmay Rassoul. Fra giovedì e venerdì gli italiani sono arrivati dall’inferno di Helmand a Kabul. Aitala, che è un magistrato, spaccava il capello in quattro sul fronte legale, dato che l'Italia ha speso una fortuna per ricostruire il sistema giudiziario afghano. «Dopo 7 giorni l'accusa non era formalizzata e non essendoci elementi sufficienti per formularla è stata chiesta la liberazione» ha dichiarato Frattini. Il ministro ha assicurato a Karzai che nel caso ci sia ancora qualcosa di poco chiaro «sarà la magistratura italiana a procedere».
L’abilità diplomatica italiana ha saltato tutti gli ostacoli giungendo ad un lieto fine, con un solo punto di domanda.

Sentiremo mai l'intercettazione, di cui il governo italiano è al corrente, che chiamerebbe pesantemente in causa uno dei liberati, il chirurgo Marco Garatti? O nella torbida aria afghana resterà sempre il dubbio su come siano arrivate quelle armi nell’ospedale di Emergency?
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