Così il giudice sentenziò: niente più compiti a casa

In Canada, due genitori hanno raccolto per anni prove contro lo studio fuori orario scolastico e lontano dalla classe. Il tribunale dà loro ragione: "Non serve a migliorare il rendimento degli alunni". E se un giorno accadesse anche da noi?

Così il giudice sentenziò:  
niente più compiti a casa

Shelli e Tom hanno vinto la loro battaglia. Loro, con i compiti a casa hanno chiuso. I loro figli non dovranno più farli. Mai più. Né al ritorno da scuola, né durante le vacanze. Una liberazione decisa direttamente da un tribunale canadese, dove vive la famiglia Milley. Una sentenza che da sola rende giustizia a tutte le litigate per i compiti tra genitori e figli di tutto il mondo. Il ricordo peggiore, quello che ti perseguitava. E spuntava a rovinare i momenti liberi. «Ancora due minuti e vai a fare i compiti», ti informavano gli adulti. Quando ti sedevi su quella sedia, quaranta gradi all’ombra, era un po’ come morire. Tua mamma ti stava aspettando al varco per il controllo avanzamento della settimana, sempre seduta vicino a te al tavolino del giardino. Pagina 25. Ancora quindici alla meta. Stavi in apnea, trattenevi il respiro e speravi solo che tutto finisse il prima possibile. Ti sforzavi di rimanere concentrato, di azzeccare le risposte subito, di essere veloce, di calcolare giusto. I tuoi vicini erano lì in piscina a giocare. Loro i compiti dicevano di averli già finiti. Con la coda dell’occhio vedevi tutto, sorridevi anche, pensando di essere ancora là. Lei si accorgeva e ti sgridava. «Rifletti. Concentrati». E partiva una sberla. Ma era tutto inutile. La testa era là. Avresti dato qualunque cosa per sguazzare con loro, con quelli che i compiti non dovevano farli mai. Li invidiavi da morire e ti chiedevi: «Ma perché diavolo io non vado nella stessa scuola?». Un’ora dopo venivi sguinzagliato. Libero fino al giorno dopo.

Anche Shelli e Tom erano arrivati al limite: un’estenuante tortura familiare che si ripeteva ogni giorno. La lotta con i piccoli Spencer di 11 anni e Brittany di 10 iniziava ogni pomeriggio all’uscita della scuola con lo stesso ritornello: «Fate i compiti che stasera quando torniamo io e papà li correggiamo».

Ogni pomeriggio a gridare, a ricordare, a minacciare punizioni. Ogni sera a correggere, a far ricopiare in bella copia. Cena veloce e teste sui libri, occhi che si chiudono e l’attenzione che se ne va via. Una fatica che Shelli e Tom avevano già affrontato con il loro primo figlio Jay, ormai maggiorenne. Così hanno deciso. I Milley sono entrambi avvocati e hanno portato il caso direttamente dal giudice. «Era una battaglia quotidiana - si giustifica la madre - è dura convincere un piccolo piagnucolante che deve imparare le tabelline. Sono stanchi e non dovrebbero fare il doppio turno di lavoro. Perché avremmo dovuto sottoporli ad un simile stress?». Per due anni la madre ha difeso le ragioni dei suoi piccoli. Ha raccolto prove, ha collezionato studi sui doveri scolastici, la maggior parte dei quali, soprattutto per i più piccoli, non collegavano chiaramente il lavoro a casa e i risultati scolastici a fine anno. E alla fine è stata una vittoria. Per loro e tutte le famiglie che presenteranno le stesse prove.

La sentenza farà scuola, già da tempo molti genitori si lamentano che i figli sono sobbarcati di compiti a casa. Ora loro hanno trovato un accordo con la scuola: «Il piano differenziato dei compiti per i Milley» sottoscritto da tutte le parti, genitori, figli e insegnanti assicura che «finché frequentano la scuola attuale i due bambini non dovranno più fare i compiti a casa». Inoltre «i compiti non saranno usati come forma di valutazione del rendimento scolastico dei due alunni». In cambio i piccoli Spencer e Brittany assicurano che «concluderanno i loro lavori in classe e che andranno a scuola preparati». Letture e pratica con gli strumenti, invece, saranno consentiti in un ambiente domestico.

Ma Shelli e Tom non sono gli unici insofferenti verso i compiti a casa. In Italia il caso è stato sollevato già nel 1969. La prima traccia di malessere si scova già nel 1964: gli studenti si lamentano per i troppi compiti. Il governo risponde.

La circolare ministeriale firmata il 14 maggio dall’allora ministro dell’Istruzione Mario Ferrari Aggradi segna una svolta: «Agli alunni delle scuole elementari e secondarie non vengano assegnati compiti scolastici da svolgere o preparare a casa per il giorno successivo a quello festivo». La domenica allora era salva.
Oggi ogni istituto decide da sé. Questione di fortuna.

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