«Così ho convinto Gattuso a restare al Milan»

IRONIA «Parlavo a Rino con il volto nascosto da una foto di noi due dopo la Champions...»

«Così ho convinto Gattuso a restare al Milan»

C’è modo e modo per convincere un giocatore a non cambiare squadra. C’è chi sceglie la strada più semplice: strappa un bell’assegno a sei zeri e tutti felici. Galliani no. Lui preferisce toccare le corde dell’anima. Ne fa innanzitutto una questione di cuore. Senza dover andare a chiedere a Gattuso è l’ad rossonero in prima persona a svelare un simpatico retroscena sul prolungamento del contratto del centrocampista. «Nel mio ufficio - ghigna Galliani - ho una foto mia e di Gattuso abbracciati dopo la finale di Champions di Atene. Quando Rino è venuto per discutere la sua situazione, ho preso la fotografia, l’ho messa davanti al mio volto e ho iniziato a chiedere a Gattuso, quasi come fosse una cantilena: “Sei proprio convinto di voler andare via? Sei proprio convinto di voler andare via?”. Non appena ha sorriso, mi sono affacciato da dietro la cornice e gli ho detto: “allora firma qui...”».
L’inaugurazione della mostra «Milan: 110 e lode!» (aperta gratuitamente al pubblico da oggi al 31 gennaio 2010, a Palazzo Bagatti Valsecchi, in via Gesù 5 a Milano), è l’occasione per l’ad rossonero di sviscerare il suo Milan a 360 gradi: dal futuro in Champions, ai presunti malumori di alcuni giocatori, dalla «scomparsa» del pallone d’oro di Rivera all’idea di trasformare le sale di palazzo Bagatti Valsecchi in un vero e proprio museo rossonero nel cuore del quadrilatero della moda milanese.
Attraverso i numerosi trofei esposti - «molti dei quali vinti grazie a Berlusconi», sottolinea il vicepresidente milanista - la mostra ripercorre i centodieci anni di Milan: manca solo il pallone d’oro di Gianni Rivera che, spiega Galliani, «Non si sa bene che fine abbia fatto...», mentre per recuperare quello di Weah «siamo dovuti andare fin nella sua casa di Miami, dove c’era un suo amico che non ce lo voleva dare...». E Ancora: «Il colpo migliore? Van Basten a un miliardo e ottocento milioni di lire: 600 milioni a pallone d’oro...»
Chiuso il capitolo dei ricordi e degli aneddoti, Galliani passa ad alcune «grane» che scuotono l’ambiente rossonero in questi giorni. Primo fra tutti, il malumore di chi ultimamente sta vedendo tanta panchina e poco campo. «A me piacerebbe avere - appunta con un sorriso a 32 denti - una rosa di undici giocatori: avrei solo undici stipendi da pagare e non avrei problemi con chi non gioca». Scherzi a parte, la riflessione dell’ad rossonero è sacrosanta: «In campo vanno soltanto undici giocatori su una rosa che per ovvie ragioni deve essere di almeno 25 componenti. È normale che chi non giochi non sia felice: stranamente quello del calciatore è l’unico lavoro dove chi è pagato per non far nulla si lamenta...».
Nessun commento alle sentenze di Calciopoli, «ho sofferto troppo e mi sono ripromesso di non parlarne più», chiuso il mercato, «a gennaio solo Adiyah e Beckham», l’ultima battuta è riservata al sorteggio degli ottavi di Champions di domani.

Beccare il Chelsea turba non poco i sogni di Galliani: «Non ho paura del Chelsea, ma di Ancelotti. Il mio desiderio è non incontrare Carlo, ce lo diciamo sempre quando ci sentiamo: sul piano affettivo muoio. Ma vedrete che a furia di parlarne...».

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