nostro inviato a Madrid
«È la luce al di là del tunnel». Il ministro della Difesa colombiano Juan Manuel Santos racconta il blitz che ha portato alla liberazione di Ingrid Betancourt. È volato a Madrid con un giorno di ritardo rispetto al programma stabilito. «Causa di forza maggiore», si è scusato. Lo aspettavano qui a Madrid, al campus Faes per parlare delle Farc, della piaga della Colombia, del nemico numero uno del governo di Uribe. È arrivato da vincitore: «Ingrid Betancourt sta bene. Le Farc stanno perdendo ogni giorno terreno. Tanti anni di impegno danno ora i primi risultati. Con Uribe la Colombia ha recuperato il 60,7 per cento del controllo territoriale». Risultati grandiosi, la prigioniera più famosa del mondo è tornata a casa, ha potuto abbracciare i suoi figli, vivere il nirvana, come ha detto lei, e tutto senza spargimento di sangue. Un’operazione da prendere come esempio, da invidiare. Santos è l’uomo che ha creato e organizzato il blitz. Nei minimi dettagli, ha definito gli obbiettivi con i generali, istruito i militari, è lui che ha sottoposto il piano «senza rischi per i prigionieri» al presidente Uribe.
Ministro Santos, i giornali svizzeri hanno parlato di un riscatto. Avete pagato per la liberazione di Ingrid Betancourt?
«Assolutamente no. Queste sono illazioni senza senso. Non hanno né capo né coda. Per un comandante Farc sarebbe troppo umiliante vendersi per un pugno di dollari. E non solo: i cinque governi accusati di aver pagato hanno negato categoricamente».
Ci spieghi l’operazione.
«Più che di operazione militare bisogna parlare di un inganno. La nostra intelligence ha fatto un lavoro stupendo. Senza sbavature. Senza spargere una goccia di sangue, portando a casa il massimo risultato. Quando ho visto il progetto ho subito pensato che era geniale, astuto. L’ho presentato al presidente Uribe che ha esclamato “adelante”. E siamo partiti».
Una operazione di intelligence internazionale?
«No. Al cento per cento colombiana. Di intelligence colombiana che durante questi anni è riuscita a crescere molto, a coordinarsi. Abbiamo studiato il progetto nei minimi dettagli, senza perdere di vista l'obbiettivo fondamentale: l’operazione doveva essere a rischio zero».
In che senso?
«Eravamo riusciti a sapere dove si trovavano i prigionieri, ma non siamo intervenuti fino a quando il piano non era sicuro. Il rischio per i sequestrati era minimo. Anche se i nostri uomini fossero stati scoperti non avevano armi. Non ci sarebbe mai stato uno scontro a fuoco».
Rischioso...
«No, più che rischioso ci voleva molto coraggio, ma nessuno si è tirato indietro perché conoscevano il piano e ci hanno creduto. Ma non solo. Le prossime operazioni per salvare i prigionieri saranno eseguite seguendo lo stesso criterio».
Tutto come nei piani dunque?
«Abbiamo dovuto accelerare di una decina di giorni perché avevamo paura che scoprissero gli infiltrati. Qualche sospetto c’era. Ad un certo punto siamo dovuti intervenire».
Come sono adesso le Farc?
«Indebolite. Ogni giorno che passa perdono potere. Sono uomini stanchi. Gente che ha combattuto per vent’anni nella foresta e che ora si trova senza armi, senza cibo, senza vestiti. Mai così deboli e sofferenti».
Una questione di età quindi?
«Ma non solo. Il tempo gioca a nostro favore, a favore della legalità. Ma c’è di più: la corruzione. Prima erano un gruppo molto disciplinato. Poi hanno iniziato ad autofinanziarsi con il narcotraffico. E il denaro ha rovinato anche loro. Così hanno iniziato a perdere».
Si spiega così la cattura di Raul Reyes?
«Sì, certo. Le crepe nella loro organizzazione ci hanno permesso di attaccare. Raul era l’uomo delle comunicazioni. Da lui passavano tutti i messaggi, era l’archivio storico. Per questo posso dire che è stato più importante quasi aver preso il suo computer che lui stesso».
Quanti file avete trovato nel computer di Reyes?
«Ci sono 38mila documenti che sono ancora al vaglio dell’autorità. È come aver trovato la chiave di tutto».
E la morte di Tirofijos?
«In realtà si pensa che Tirofijos, il numero due delle Farc, sia morto di paura. Un infarto nel momento dello scontro militare».
Quale sarà la risposta delle Farc ora?
«Come ho spiegato sono allo stremo delle forze. Il rischio ora è che rispondano con il terrorismo. Mettere bombe per evitare il combattimento corpo a corpo. Hanno perso la voglia e la capacità di combattere. Non sono più in grado di essere dei guerriglieri. E il nostro governo è pronto a comunicare con loro. Devono consegnarsi e finire questa guerra. Il presidente Uribe cercherà di essere corretto con loro. Ma devono costituirsi».
La famiglia della Betancourt cosa pensava del blitz?
«Nessuno sapeva di questo piano. Nemmeno la madre. Quando l’abbiamo chiamata per informarla Ingrid era già con noi al sicuro».
Sarà lei, Ingrid Betancourt, la prossima minaccia politica per il presidente Uribe?
«Vedremo. Per il momento l’importante è che ora sia libera e sia riuscita a tornare a casa con la sua famiglia. Per il futuro c’è tempo. Molto tempo».
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