Invasioni barbariche negli affetti familiari, ovvero, laltro volto di Daria Bignardi. Non quello della conduttrice aggressiva che si diverte a mettere allangolo i suoi intervistati, ma quello della figlia (e della madre) che racconta sè stessa nelle sue emozioni più intime. Oggi la giornalista dellEra glaciale sarà in versione inedita al festival letterario Parolario di Como per presentare al pubblico la sua opera prima «Non vi lascerò orfani», romanzo-diario che ripercorre i momenti più dolorosi e difficili della sua esistenza, quelli della perdita dei genitori e della sua dimensione di «orfana adulta».
Da lei come scrittrice ci si sarebbe aspettati un pamphlet sulle sue «corride» televisive, e invece ecco un romanzo sul dolore. Cosè, ha voluto stupire i telespettatori?
«Per nulla. Quando intervisto un personaggio in tv cerco di provocarlo per far venire fuori i suoi segreti, i suoi lati più nascosti. Stavolta volevo scoprire me stessa e dovevo farlo in totale sincerità. Parlo di storie molto personali ma nello stesso tempo universali come le dinamiche affettive e i conflitti allinterno di una famiglia. E poi del rapporto tra una figlia e una madre, gli antagonismi, ma anche tutto il bene che ti resta dopo».
Oggi in Italia abbiamo quasi più scrittori che lettori. Dica la verità: essere un personaggio televisivo aiuta a vendere?
«Non lo nego. Però se sbagli balli una sola estate e su questo mi ha messo in guardia anche leditore. Il pubblico magari compra il tuo libro per curiosità, ma il passaparola è spietato e se hai scritto cavolate nessuno ti perdona».
Perchè ha deciso di mettersi a scrivere, la televisione non le bastava?
«Veramente era da tanto tempo che avevo il desiderio di creare un romanzo e poi sentivo un po di nostalgia per la parola scritta. In fondo sono arrivata alla televisione piuttosto tardi, a 35 anni, e prima di allora facevo articoli per Panorama, per la Stampa, per Anna e il mensile Chorus. Non sono una neofita...».
Veniamo al libro. Colpisce la frase del titolo «non vi lascerò orfani» e unaltra in cui si usa lespressione «sublime nel dolore». Da dove arrivano?
«Le ho viste entrambe incise su due lapidi al cimitero monumentale di Milano. La prima è una frase tratta dal Vangelo secondo Giovanni e mi è rimasta impressa perchè è esattamente ciò che ho provato quando è morta mia madre. Con lei, fin dalladolescenza, ho avuto un rapporto difficile e al contempo molto profondo. Ma quando se nè andata non mi sono sentita orfana perchè ho sentito, e continuo a sentire, la forte presenza di tutti i valori che mi ha lasciato. E poi mi ha colpito la frase sublime nel dolore perchè è proprio così: nel momento di un grande lutto ci si sente ancora più vicini a chi se nè andato».
Nel libro descrive sua madre come una donna che ha sacrificato le sue ambizioni in nome della famiglia. Lei sembrerebbe di tuttaltra pasta...
«E invece non è vero perchè anchio, come tutte le madri che lavorano, mi sacrifico per la famiglia. Mamma era uninsegnante che usciva di casa alle otto e rientrava alle due stravolta dalle lezioni in classe. Io ho altri orari ma quando rientro i figli mi assorbono completamente. Rispetto a una volta forse sono cambiati i padri che oggi aiutano di più in casa. Il mio, che è morto quando avevo 20 anni, non è mai andato neanche a parlare con la maestra...».
Il suo romanzo, oltre ad essere un viaggio nei suoi ricordi familiari, è anche laffresco di unepoca, quello delle famiglie degli anni Settanta...
«Sì, era una società molto diversa da oggi in cui molti possono riconoscersi. Le famiglie normali erano più unite, ci si scannava ma ci si dava anche tanto».
Con i suoi figli lei comè?
«Cerco di fare altrettanto. Ci spero».
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