Così imprese funebri e infermieri «seppellivano» i divieti con gli affari

È intollerabile quel tentativo di procacciarsi lavoro, vecchio come il mondo

«Non abbiamo fatto altro che andare avanti con le turnazioni che una volta erano previste dalle convenzioni con gli ospedali». È il primo a parlare, dopo l’arresto. Riccardo D’Antoni, legale rappresentante del gruppo Varesina Sofam srl - agenzia di pompe funebri - risponde al gip Giuseppe Vanore, nel corso dell’interrogatorio di garanzia. Due ore di faccia a faccia col giudice, per spiegare che il sistema adottato dalla sua società, come dalle altre, era in uso da tempo, nonostante fosse vietato da una legge regionale. In altre parole, i titolari e i dipendenti delle diverse imprese coinvolte nel presunto «racket» del caro estinto (ma delle mazzette - spiega D’Antoni - «non sapevo nulla») non avrebbero fatto altro che riproporre un modo di operare che fino a qualche anno fa era lecito. Un metodo, inoltre, che avrebbe «migliorato i servizi per i clienti».
È dal 2006, però, che una legge regionale impone il «principio della separazione dell’attività funebre», in modo che «nessun legame sussista tra chi svolge le funzioni di sorveglianza delle salme o cadaveri e le imprese che si occupano delle esequie e funzioni funebri». Le agenzie di onoranze funebri, dunque, non dovrebbero stazionare nelle camere mortuarie degli ospedali, né tantomeno ricevere dal personale informazioni riservate sui decessi. Cosa che, stando all’indagine della polizia e della Procura, sarebbe stata all’ordine del giorno. Una macchina «oliata» dalle tangenti.
Anche se non sempre - e non ovunque - quella macchina riusciva a funzionare senza intoppi. Accade al Policlinico, dove il direttore sanitario Francesco Della Croce invia a inizio 2008 una lettera agli infermieri, invitandoli espressamente a far rispettare il regolamento di polizia mortuaria. In particolare, è ribadito il divieto di far accedere all’obitorio gli impresari delle pompe funebri, interessati a promuovere i propri servizi. Con un particolare riferimento alla «San Siro». Un’iniziativa che scatena le ire di Alcide Cerato.
Nel giugno scorso, infatti, il titolare dell’agenzia diffida Della Croce dal diffondere notizie che ritiene «diffamanti». Ma Della Croce replica. Ancora più duramente. Il direttore sanitario, infatti, minaccia di spostare ad altri servizi tutti gli infermieri addetti alla camera mortuaria (intuendo, quindi, il sistema «illecito»), che a loro volta finiscono per accusare la San Siro di averli esposti alla reazione della direzione. Cerato, a quel punto, sembra invocare un intervento dall’«alto». In una conversazione del 14 marzo scorso intercettata dalla polizia, infatti, spiega di aver contattato Carlo Tognoli, presidente della Fondazione Policlinico.

«Vediamo cosa mi risponde - dice l’interlocutore - poi prendiamo i nostri provvedimenti». «Come?», chiede Cerato. «Andiamo a parlare io e te insieme da Tognoli». «Con Tognoli - conclude l’imprenditore - ho già parlato».

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