Cultura e Spettacoli

Così iTunes in dieci anni ha riportato la musica ai 45 giri dei Sessanta

Il "negozio" sul web ha rilanciato l’acquisto di brani singoli. E in futuro potrebbe perfino sparire il formato "album". Alessandro Massara, dell'Universal: "Negli Usa il cd è già stato prematuramente ucciso"

Così iTunes in dieci anni ha riportato la musica ai 45 giri dei Sessanta

Se insomma il pop è diventato ipop e la musica nel complesso ora è imusic, il merito è di un colossale supermercato digitale che è stato lanciato sul web dieci anni fa (9 gennaio 2001) come semplice crocevia di file, l’iTunes appunto, e circa due anni dopo ha inaugurato il vero punto vendita, il Music Store. Oggi i risultati sono sotto gli occhi di tutti, anzi dentro le orecchie, visto che sono stati venduti undici miliardi e settecento milioni di canzoni, la maggiorparte sono finite dentro a iPod, iPhone e ora iPad ma hanno tutte insieme contribuito a creare la musica come la compriamo, ascoltiamo e componiamo oggi: diversa da prima. Intanto i file che racchiudono i brani, tendenzialmente mp3, sono compressi per essere più facilmente downloadabili e quindi i picchi di frequenza sono tagliati, i suoni più freddi e sostanzialmente molte sfumature sono meno percepibili addirittura di quanto lo fossero sul vinile dei talvolta rimpiantissimi 33 giri. Perciò, volenti o nolenti, i virtuosismi si sono ridotti e, complice l’alluvione tecnologica, si sono persi, snaturati, sterilizzati nel mare magnum dei campionamenti. E poi si sono appiattite le differenze tra i generi musicali, che sono ormai roba da Wwf, candidati (purtroppo) all’estinzione proprio perché la facile e relativamente economica fruizione, a colpi di click, di ogni tipo di musica, dall’afrojazz fino al death metal, porta al mescolamento e all’imbastardimento delle singole cifre sonore, dei codici espressivi e delle relative comunità di fans (tempi duri per il jazz, ad esempio). Per fare due esempi qualunque, quindici anni fa sarebbe stato difficile che il rapper più famoso del bigoncio, Eminem, cresciuto a colpi di qualunquistica misoginia, avesse un successo stratosferico duettando con una reginetta laccata del pop come Rihanna (I love the way you lie). O che nel miglior disco di hip hop dell’anno, quello di Kanye West dal titolo chilometrico My beautiful dark twisted fantasy, ci fossero tracce sonore pescate di peso da idoli rock incartepecoriti come King Crimson, Manfred Mann e Black Sabbath, tutti lontanissimi dallo stereotipo di pubblico che segue questo rapper trentatreenne. Quindi la musica di iTunes è trasversale per forza e di gusti sempre più trasversali saranno quindi le nuove generazioni. «iTunes ha rivoluzionato il consumo della musica», conferma Alessandro Massara, presidente di Universal Music Italia che fa il passo successivo identificando una sorta di «ritorno ai 45 giri». In effetti già più di dieci anni fa, in un camerino dello Sporting Club di Montecarlo prima di uno show tv, Gino Paoli aveva pronosticato: «Si torna ai miei tempi, quando pubblicavamo un po’ di brani e solo dopo un po’ li riunivamo in un album». E oggi i dati lo confermano. Grazie all’avvento del web e alla corazzata iTunes, i negozi di dischi, ossia la culla del fidelismo musicale sul modello dello scalcagnato Championship Vinyl di Alta fedeltà, sono spariti, e il prelievo di musica è diventato random, scandito solo dal piacere, spesso volatile, di ascoltare questo o quel brano a prescindere da tutti i connotati di stile e persino di linguaggio. «A dire il vero - precisa Massara, che è un attento osservatore - il fenomeno è stato drastico negli Stati Uniti, dove il cd è stato prematuramente ucciso: per esempio, a New York è pressoché impossibile trovare un negozio di dischi. Ma è più graduale in Europa». In ogni caso, non si acquista più un gruppo o un genere musicale: si fa zapping tra le canzoni e le playlist degli ipod sono le più imprevedibili possibili, roba che anche solo trent’anni fa, all’epoca di paninari e metallari, di dark e punk, sarebbe stata impensabile. Com’era impensabile l’agonia dell’album, già, di quella cosa piena di dettagli da scoprire lentamente, da centellinare quasi, che due generazioni di rockettari hanno atteso spesso con riti sacrali. Oddio, nulla di immediato. Ma la strada è questa. «Album come Sgt. Pepper’s dei Beatles o Pet sounds dei Beach Boys vantano canzoni immortali ma hanno un valore artistico proprio come album in sé. Ed è difficile pronosticare l’arrivo di altri dischi così epocali. Già sempre più spesso ci si lamenta che in un disco ci siano solo tre o quattro belle canzoni mentre tutto il resto è dimenticabile», dice Massara. Insomma, il pubblico scarica random, un brano qui e uno là. E gli artisti saranno sempre meno motivati ad affrontare lo sforzo, spesso monumentale, di registrare un disco di dieci, quindici canzoni dello stesso livello. Meglio pubblicare - come qualcuno prova già a fare - un brano ogni tre, sei mesi, così, tanto per mantenersi sempre presenti su di un mercato volatile e smemorato.

Insomma, questo è il bello, o il brutto dipende dai punti di vista, degli undici miliardi e passa di file smerciati finora da iTunes in quella strepitosa corsa al futuro che talvolta, come adesso, ci porta indietro a un passato che sembrava remoto.

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