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Così il killer di Elisa ha beffato i giudici italiani

La giustizia italiana si è fatta «scippare» Daniele Restivo dalla giustizia inglese. Dura ammetterlo, ma è così. Dopo 17 anni di indagini, la Procura di Salerno (che la settimana scorsa ha firmato il mandato di arresto europeo per Restivo, ritenendolo l’assassino di Elisa Claps) ora si trova dinanzi alla Procura della Corona britannica che annuncia: «Restivo non potrà essere sottoposto a estradizione in Italia fino a che non si sarà del tutto concluso il procedimento giudiziario attivato a suo carico in Gran Bretagna». Che, tradotto in termini temporali, significa che il presunto killer della studentessa potentina potrà - forse - essere estradato nel nostro Paese non prima di un anno, un anno e mezzo (dopo cioè che in Inghilterra sarà celebrato il processo per l’omicidio della sarta Heather Barnett, di cui è accusato il 38enne potentino). Una doccia fredda per i magistrati salernitani, ormai convinti di far scattare le manette ai polsi di Restivo; comprensibile la delusione della famiglia Claps, ai cui legali non resta che confidare nell’opera di mediazione dell’ufficio Eurojust, l’organismo di cooperazione che si occupa di estradizioni internazionali.
Ma come si è arrivati a questo scacco matto procedurale che pone la Procura salernitana in una condizione di palese subalternità rispetto a quella della Corona britannica? Diciamo subito che le responsabilità del flop vanno equamente divise tra la Procura di Potenza che inizialmente indagò sulla scomparsa di Elisa (la sedicenne uccisa con 13 coltellate il 12 settembre 1993) e la Procura di Salerno che successivamente avocò l’inchiesta e che - dal 17 marzo scorso - ha potuto contare su una carta fondamentale: il cadavere di Elisa, trovato (con modalità ancora tutte da chiarire) nel sottotetto della chiesa della Santissima Trinità, lo stesso luogo dove, 17 anni fa, Restivo ammise di aver visto per l’ultima volta Elisa. Una circostanza - quest’ultima - decisiva, soprattutto alla luce di una nota di servizio firmata da un ispettore di polizia che, all’indomani della sparizione della ragazza, indicava proprio Restivo come il sospettato numero uno. Un documento di importanza enorme, che avrebbe dovuto portare all’immediato fermo di Restivo. E invece Restivo fu lasciato libero di partire da Potenza, i suoi vestiti non furono analizzati e il telefono della sua famiglia non venne messo sotto controllo; inoltre la successiva ispezione della Santissima Trinità non riguardò l’area del sottotetto che celava il corpo senza vita di Elisa. Come mai, tanta negligenza? Fu solo incapacità investigativa o, come ha sempre sostenuto la famiglia Claps - si trattò di un «voluto depistaggio?». Fin qui le «colpe» degli inquirenti potentini che consentirono a Restivo di uscire dalla vicenda Claps con una condanna di 2 anni e otto mesi per falsa testimonianza.
Veniamo ora a quelle degli inquirenti salernitani, che hanno sostenuto di avere in mano «elementi probanti la colpevolezza di Restivo» già dal mese di ottobre dello scorso anno. «Elementi probanti» che - è logico immaginare - si saranno ulteriormente rafforzati dopo il ritrovamento del cadavere della studentessa. È in questa fase che la Procura di Salerno avrebbe dovuto imprimere una accelerata all’iter giudiziario, ben sapendo che anche la giustizia inglese stava braccando per il delitto Barnett. Non è un dettaglio da poco. Se infatti il mandato di arresto europeo fosse stato notificato a Restivo prima del suo arresto inglese, la Procura della Corona britannica non si sarebbe potuta più opporre all’estradizione di Restivo in Italia. Insomma, il «pallino» sarebbe rimasto nelle mani dei giudici italiani che - in questa situazione - avrebbero potuto dire ai colleghi inglesi esattamente ciò che oggi loro dicono a noi, vale a dire: «Restivo resta qui fino al termine del processo di primo gradi e di appello». Una porta sbattuta in faccia - quella dei giudici inglesi nei confronti dei colleghi italiani - che si sarebbe potuta evitare se esami e analisi eseguite sul corpo di Elisa e sui reperti trovati nel sottotetto fossero stati condotti con maggiore celerità. Sarebbe bastato qualche giorno per precedere le autorità inglesi, che al contrario hanno affrettato i tempi dell’inchiesta sull’omicidio Barnett, proprio per non rischiare di farsi soffiare sotto il naso Danilo Restivo. E così due settimane fa quattro agenti di Scotland Yard hanno suonato al campanello della sua casa a Bornemouth nel Dorset e l’hanno portato in carcere. Da lì Restivo non si è più mosso e non si muoverà fino alla prima udienza del processo fissata il 24 settembre.
Dalla Procura di Salerno sono «ottimisti»: «In Inghilterra i processi sono brevi. Anche in casi molto delicati possono durare pochi mesi». Speranzosi si mostrano pure i legali della famiglia Claps: «Le leggi inglesi non consentono l’estradizione fino alla definizione del processo. Ma speriamo ancora in una consegna provvisoria». Insomma, una soluzione all’italiana.

Difficilmente accettabile dalla Procura della Corona britannica.

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