Così Koyo Kouoh sussurrerà nella Biennale che ha sognato

Il progetto pensato dalla curatrice morta 15 giorni fa sarà portato avanti dal suo staff. Titolo: "In Minor Keys"

Così Koyo Kouoh sussurrerà nella Biennale che ha sognato
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Fortissimamente presente, in assenza. Con un abito sbracciato, rosso a stampe tigrate, la curatrice della Biennale Arte Koyo Kouoh ci ha salutato, ieri, nella Sala delle Colonne di Ca' Giustinian, a Venezia, da un video registrato che ha dato inizio alla conferenza stampa della 61esima Esposizione internazionale d'Arte che si terrà dal 9 maggio al 22 novembre 2026. Poi ci ha salutato di nuovo, al termine della presentazione, con addosso un paio di occhialoni bianchi, in un selfie dove s'intravede sullo sfondo il suo staff. Con lontana, così vicina. Davanti all'immagine del suo team che, sul palco, si prende per mano davanti a quel selfie, è impossibile non commuoversi. La camerunense Koyo Kouoh avrebbe dovuto annunciare una settimana fa la sua Biennale, ma è morta, improvvisamente e prematuramente, a 57 anni, il 10 maggio scorso, lasciando tutti sgomenti. «Con il pieno sostegno della famiglia di Koyo Kouoh», ha detto ieri il presidente della Biennale di Venezia Pietrangelo Buttafuoco si realizzerà comunque la sua mostra, «nella consapevolezza che il suo lavoro arrivato fino a noi è già progetto e che quindi la Biennale fa oggi quello che da 130 anni porta avanti: edifica l'idea di un curatore. Oggi con Koyo Kouoh, nella sua assenza e nella sua presenza: il suo gesto è quello di un pensatore che ci sussurra da un altrove».

Era il 17 ottobre dello scorso anno quando, in via riservata, Buttafuoco propose a Kouoh, già globalmente stimata direttrice dello Zeitz MOCAA di Città del Capo, in Sudafrica, di diventare direttrice della futura Biennale Arte: «Mi chiese un bicchiere d'acqua ricorda Buttafuoco- e prima ancora di darmi la risposta, mi domandò, posto il vincolo di riservatezza, se avesse potuto dirlo alla madre. In quella richiesta c'è il romanzo di una vita, il suo essere profondamente radicata in una storia fatta di sentimenti e di pratica del bello». Mentre Buttafuoco parla sul palco, nello schermo alle sue spalle scorrono immagini di appunti, foto e mappe. «In Kouoh c'è una geografia disegnata da mappe nuove conclude-: il valore di una vita non si misura nella vita stessa, ma nella capacità con cui questa vita lascia un'impronta». Nella sua esistenza a latitudine variabile (studi in Francia e in Svizzera, una vita divisa tra Dakar, Città del Capo e Basilea), Koyo Kouoh di impronte ne ha lasciate parecchie, e profonde. Colpisce ma non stupisce dunque la scelta della Biennale di proseguire sui suoi passi: Kouoh aveva già scelto il tema-titolo ovvero In Minor Keys, in tonalità minori, manifesto programmatico preso in prestito dalla musica. Lo hanno annunciato, visibilmente emozionate, le cinque persone da lei già coinvolte nel progetto: le advisor Gabe Beckhurst Feijoo, che vive a Londra, la senegalese Marie Helene Pereira e la canadese Rasha Salti, insieme all'editor-in-chief di stanza a NYC Siddhartha Mitter e all'assistente Rory Tsapayi, cresciuto in Zimbabwe e studi negli Usa.

È prematuro indagare sui dettagli e su chi farà cosa: l'elenco degli artisti invitati a esporre ai Giardini e all'Arsenale così come la lista dei Paesi partecipanti saranno comunicati il 25 febbraio. Già sul piatto, invece, l'apporto di Bulgari come exclusive partner (accordo siglato per le prossime tre edizioni, fino al 20230). Il gruppo di lavoro di Kouoh ha scelto di leggere il testo curatoriale redatto dalla direttrice (a lato vi proponiamo uno stralcio): comincia con un invito a rallentare il passo per sintonizzarsi su tonalità minori e sfuggire alla «cacofonia ansiogena del presente». Troviamo, tra un riferimento a Toni Morrison e uno a Édouard Glissant, gli indizi di una mostra che chiederà al pubblico di cogliere la polifonia dell'arte, fiduciosa nelle capacità degli artisti di comunicare. Si cita più volte il jazz e la libera improvvisazione: la mostra dice Kouoh - «sarà un'esperienza espositiva più sensoriale che didattica». Un ensemble in cui il curatore non vuole prendersi la scena: «Gli artisti sono canali verso e tra le tonalità minori e ascoltarle piuttosto che parlare per loro è al cuore dell'idea curatoriale». Soprattutto, emerge un'idea di Biennale vitale, ché «non si può puntare costantemente sulla crisi».

Un suo testo poetico scritto da Kouoh due anni fa, letto al termine della presentazione dal suo assistente, è la chiosa perfetta di questa conferenza in assenza-presenza: «E francamente sono stanca, la gente è stanca, siamo tutti stanchi, il mondo è stanco, anche l'arte stessa è stanca, forse è arrivato il momento, abbiamo bisogno di qualcos'altro, abbiano bisogno di stare di nuovo con l'amore, abbiamo bisogno di ballare, abbiamo bisogno di fare e dare cibo, abbiamo bisogno di riposare e ristorarci, abbiamo bisogno di respirare, abbiamo bisogno della radicalità della gioia, il momento è arrivato».

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