Così l’Egitto truffa le donne italiane che amano un islamico

Entri in un consolato stranieri e pensi «Mi posso fidare». Ma se ti trovi in quello egiziano di Milano, sei un’italiana e intendi trascrivere un atto di matrimonio contratto, nel tuo Paese, con un cittadino egiziano, non è detto che i tuoi diritti vengano tutelati. Anzi, nove volte su dieci finirai per firmare un documento che non sai decifrare, perché scritto in arabo, ma che non corrisponde a quello che tu credi. E se un giorno cercherai di divorziare capirai la portata dell’errore che, a tua insaputa, sei stata indotta a commettere.
Già, perché quel documento non è una trascrizione legale, che non è nemmeno contemplata dalla legislazione del Cairo, ma un nuovo atto di matrimonio, secondo il diritto egiziano, ovvero secondo la legge islamica, che, come noto, non riconosce la parità religiosa. Se un musulmano sposa una cristiana o un’ebrea, la moglie perde ogni diritto nei confronti dei figli e, in caso di morte del congiunto, non riceve l’eredità.
Purtroppo le ragazze italiane vittime inconsapevoli di questo raggiro sono decine ogni anno. Il film è più o meno lo stesso. Si innamorano, si sposano in un Comune italiano. Tutto fila bene. Poi, un giorno, il marito egiziano chiede alla moglie di fare un giro fino a via Porpora, al consolato, per una formalità; ovvero per firmare le pratiche affinché la loro unione sia registrata anche al Cairo. La donna non sospetta nulla. Che male c’è? Si chiede. E accetta.
La legge internazionale impone l’obbligo della traduzione di qualunque documento qualora non si conosca la lingua; ma quando arriverà alla sede diplomatica nessuno le ricorderà questo diritto. Non solo. Quasi sempre troverà un funzionario che parla solo l’arabo. Non le verrà presentato nessun testo in italiano e di solito sarà lo stesso marito a provvedere a una parziale, rassicurante traduzione. Nessuno, insomma, la avvertirà che quello è in realtà un vero e proprio contratto di nozze islamico.
Se il matrimonio dura, tutto bene; ma se va male l’uomo potrà prendere i figli, portarli in Egitto e affidarli alla nonna o a una zia allo scopo di provvedere a una sana educazione musulmana. E i tentativi della moglie italiana di riportarli in Italia o, talvolta, solo di vederli risulteranno vani: in quanto non musulmana il governo del Cairo non le riconoscerà alcun diritto. Di fatto, non esiste.
Uno scandalo che non sarebbe possibile se le autorità diplomatiche rispettassero le procedure internazionali e le leggi italiane. Come dovrebbe essere normale, tra Paesi amici e alleati. E invece la sede di via Porpora da anni assume i dipendenti locali in nero, come denunciato dal Giornale prima di Natale. E in occasione della sanatoria di colf e badanti, lo stesso consolato si è dimenticato di avvertire le nostre autorità che le donne egiziane non avrebbero potuto beneficiarne, in quanto una legge, varata per impedire gli abusi a cui molte ragazze sono state sottoposte nelle case degli emiri del Golfo, vieta l’emigrazione delle collaboratrici domestiche.
Dettagli.

A Milano loro possono far di tutto, anche far sposare le italiane con l’inganno. Tanto poi ci pensa il ministro degli Esteri egiziano a rimettere a posto le cose, denunciando il razzismo e la prevaricazione. Del nostro governo, naturalmente.
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