"Così l'inchiostro fluttuante disegna la vita nell'acqua"

L'esperta racconta Luisa Canovi i segreti del Suminagashi, l'antica arte giapponese per realizzare opere "liquide"

"Così l'inchiostro fluttuante disegna la vita nell'acqua"

Si chiama Suminagashi e, se non l'avete mai sentito nominare, è normale. È un'arte giapponese millenaria, parente stretta della calligrafia, che si pratica nell'acqua: Suminagashi significa "inchiostro fluttuante" e il risultato si imprime su fogli di carta che sembrano poesie evanescenti. "Sumi è l'inchiostro, ovvero polvere di carbone mischiata con resine naturali di pino, come una pasta; nagashi significa fluttuare, scorrere" racconta Luisa Canovi, che dal trent'anni realizza opere di Suminagashi e ora ha scritto un libro sull'argomento, in pratica l'unico esistente, e non solo in Italia. Si intitola Suminagashi ed è edito da Luni (pagg. 160, euro 38). Canovi, nata fra Reggio Emilia e Modena, di mestiere si occupa di origami ("nell'81, quando ho aperto la partita Iva, il commercialista non sapeva dove collocarmi..."), ha sempre lavorato con la carta (negli anni Novanta a Milano fu tra i fondatori di Paper Factory) e ha un laboratorio a Porta Genova, dove insegna anche l'arte dell'inchiostro fluttuante. Fra carta, panetti di inchiostro e odore di resina come in un bosco di montagna.

Luisa Canovi, partiamo dai materiali. Perché l'inchiostro è in barrette?

"Si prende così, solido, e poi viene sciolto lentamente nell'acqua, o meglio macinato, come usavano i pittori nel Medioevo, fino a che diventa inchiostro. Questa parte iniziale, che dura una decina di minuti, attraverso la concentrazione sulla preparazione permette di entrare in quella che poi è la fase meditativa del Suminagashi, in cui il respiro rallenta e la mente si pacifica".

Che altro serve?

"La carta giapponese, priva di colla animale. Quella con la colla animale non va bene perché impedisce all'inchiostro di passare dall'altra parte del foglio; e invece l'inchiostro deve passare... Le forme sono fluttuanti perché è l'acqua a trasportare l'inchiostro e a crearle ma, per far staccare le linee di inchiostro nell'acqua, serve una sostanza di contrasto, come il fiele di bue, che è incompatibile con l'inchiostro e quindi lo spinge e lo separa. E poi servono due pennelli, uno grande per l'inchiostro e uno più piccolo per il fiele: devo tenerli in verticale e toccare l'acqua solo con la punta, alternando l'uno e l'altro".

Perché si parla dei "quattro tesori" del Suminagashi?

"I quattro tesori, che appartengono alla tradizione cinese della calligrafia, sono l'inchiostro, la pietra per macinarlo, la carta e i pennelli. In più servono l'acqua e la sostanza di dispersione. Sono tutti elementi fondamentali. Con il movimento dei due pennelli posso andare avanti all'infinito, perché ogni tocco nell'acqua crea uno spazio; e poi posso muovere il disegno con un ventaglio, o semplicemente soffiando sulla superficie, per regalare respiro all'acqua. E, quando ho finito, poso la carta sull'acqua e il disegno sale sulla superficie, penetra nelle fibre e si imprime sulla carta".

Ci sono regole per disegnare nell'acqua?

"La cosa importante è non parlare mentre si tocca la superficie con i pennelli, per non muovere l'acqua. Per il resto, il Suminagashi è totalmente libero: il bello è vedere le macchie di inchiostro che si muovono nell'acqua, senza poterle controllare. Dobbiamo affidarci all'acqua: non ci sono schizzi, disegni preparatori, misure... Lasci che il pennello e l'acqua agiscano per te".

Ci sono stili?

"Ci sono delle tecniche e degli stili diversi: c'è chi imprime più movimento, chi è più energetico, chi più raffinato, chi scolpisce come i solchi di un tronco, chi lascia linee leggere come una poesia. Fra i miei allievi ci sono una informatica calligrafa, un poeta, una artista al telaio, un creatore di gioielli di carta, un pittore con l'inchiostro... Poi cambiano le carte possono essere molto diverse, arricchite di frammenti di corteccia, puntini argentati, fibre di seta, foglie d'oro".

Il risultato?

"I disegni non sono mai figurativi. Evocano elementi della natura: nuvole, onde, coste frastagliate, uccelli, draghi".

Come ha incontrato questa arte così poco nota?

"Negli anni Novanta, fra le tecniche di origami di carta, grazie a una esperta di marmorizzazione mi sono imbattuta anche nel Suminagashi. Mi affascinava, anche perché stavo studiando il giapponese e le arti zen, e sapevo che i monaci praticavano l'arte della calligrafia e della pittura ad inchiostro, però non trovavo un libro su questa arte antica. Poi, provandolo, ho capito che aveva questo aspetto di meditazione: ti porta a uno stato in cui sei qui e ora, in cui sei tu, l'acqua e l'inchiostro. Eppure più cercavo informazioni, più non trovavo".

Niente?

"Qualche paginetta... Il direttore del Museo della carta di Tokyo lo citava in un libro e diceva: vorrei dirvi di più, ma nessuno ha scritto nulla".

Ma perché?

"Per due motivi. Primo: la tradizione orientale non contempla il testo scritto. L'apprendimento dell'arte avviene fra maestro e allievo: è il senso dell'arte zen, che si impara solo dai gesti, non dalla parola. Come avveniva nelle nostre botteghe dell'arte, nel Medioevo e nel Rinascimento".

L'altro motivo?

"Per trentacinque generazioni, il Suminagashi è stato praticato da un'unica famiglia, di nome Hiroba, che creava queste opere per la corte imperiale. Era un monopolio".

Come si è interrotto?

"Le prime pagine pubblicate decorate con questa tecnica risalgono al 1118 d.C., ma sicuramente l'arte esisteva anche in precedenza. Comunque, alla fine del Settecento in Giappone si tenne una fiera sugli oggetti di casa, incluse le carte decorate, e la famiglia mostrò al pubblico i propri lavori; così un'altra famiglia, chiamata Uchiba, intuì il procedimento e cominciò a metterlo in pratica...".

E le sue ricerche?

"Per anni non trovai nulla. Finché una giovane calligrafa, che insegnava all'Istituto giapponese di Milano, invitò una maestra dal Giappone a fare una mostra dei suoi Suminagashi. Quando la incontrai le dissi: Deve scrivere un libro, perché questa arte non si perda. Mi rispose: Noi giapponesi non scriviamo delle nostre arti. Noi le insegniamo. Scrivilo tu. È successo tanti anni fa".

È vero che il Saminagashi racconta qualcosa di chi lo crea?

"Intorno all'anno Mille, i giovani nobili alla corte imperiale giapponese si dilettavano a leggere il destino in questi disegni. Quello che ho osservato io è che, nelle tracce di inchiostro, emerge la personalità di ciascuno, anche se apparentemente tutti compiono gli stessi gesti. Credo che, in qualche modo, nell'acqua imprimiamo le nostre caratteristiche e il nostro stato emotivo".

Quante persone praticano questa arte?

"Al mondo, poche. Però oggi esistono dei corsi, anche in Italia, e ci sono molti video sul web.

Proprio in un mondo come il nostro, così di fretta, queste arti, come gli origami, ci concedono un momento di vita quieta ed essenziale, in cui permetterci il contatto con noi stessi, senza qualcuno a progettarci l'esistenza, a darci obiettivi e a giudicarci. Un momento in cui viviamo il presente e non dobbiamo preoccuparci del risultato, perché è l'acqua a fare tutto".

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