Controcultura

Così una mappa e un uovo hanno ridisegnato i confini del mondo di un uomo votato alla fuga

Lungo la costa africana, i ragazzini sono obbligati dagli inglesi ad andare a scuola: nella lingua dei loro colonizzatori ricevono un'istruzione e il sogno di una storia che inizia

Così una mappa e un uovo hanno ridisegnato i confini del mondo di un uomo votato alla fuga

Per gentile concessione dell'editore, pubblichiamo un brano da Sulla riva del mare (in libreria dal 9 dicembre) del Nobel Abdulrazak Gurnah. Il protagonista del romanzo è un 65enne fuggito dal suo Paese sulla costa africana in Inghilterra, dove chiede asilo.

Io con le mappe ci parlo. E a volte loro mi rispondono qualcosa. Questo non è strano come sembra, né è una cosa mai sentita. Prima delle mappe il mondo era senza limiti. Furono le mappe a dargli forma e a farlo sembrare un territorio, qualcosa che si poteva possedere, non solo devastare e saccheggiare. Le mappe fecero sembrare i luoghi ai limiti dell'immaginazione afferrabili e governabili. E più tardi, quando diventò necessario, la geografia diventò biologia allo scopo di creare una gerarchia in cui collocare i popoli che vivevano inaccessibili e primitivi in altri luoghi della mappa.

La prima mappa che vidi, anche se dovevo averne già viste altre senza rendermene conto, fu quella che il maestro ci mostrò quando avevamo sette anni. Io avevo sette anni, comunque, anche se non posso dire con sicurezza l'età della moltitudine che condivise quell'esperienza con me. Più o meno la stessa, comunque. Per qualche ragione, bisognava essere al di sotto di una certa età per poter incominciare la scuola. Non ho mai riflettuto bene su questa stranezza ed è solo pensandoci adesso che me ne accorgo. Se si era superata una certa età, era come se si fosse superato il punto al di là del quale non si poteva essere istruiti, come una noce di cocco che fosse diventata troppo matura e perciò imbevibile, o dei frutti lasciati troppo a lungo sull'albero e finiti in semenza. E anche adesso, ripensandoci, non riesco a trovare una spiegazione per questa rigida esclusione. I britannici ci portarono la scuola e le regole per far funzionare la scuola. Se le regole dicevano che dovevi avere sei anni e non più di sei per poter iniziare la scuola, così sarebbe stato. Non che le scuole riuscissero a fare come volevano, perché i genitori toglievano ai figli gli anni necessari per farli ammettere. Certificati di nascita? Erano gente povera, ignorante, non se ne erano mai procurato uno. Per questo volevano che il loro figlio andasse a scuola, perché non finisse bestia come loro.

Nella nostra vita, tutti andavano al chuoni da generazioni. Al chuoni andavamo per imparare l'aliph-be-te per poter leggere il Corano e ascoltare i miracolosi eventi che accaddero al Profeta durante la sua vita, salallahu-wa-ale. E ogni volta che c'era tempo, o faceva troppo caldo per concentrarsi sulle lettere leggermente inclinate sulla pagina, ascoltavamo i racconti delle spaventose torture che attendevano alcuni di noi dopo la morte. Nessuno si curava dell'età al chuoni. Si incominciava più o meno quando si imparava ad andare al gabinetto e ci si restava finché non si sapeva leggere il Corano dall'inizio alla fine, o finché si trovava il coraggio di scappare, o finché i maestri non sopportavano più di vederti in giro, o i genitori rifiutavano di pagare la miserabile quota che era lo stipendio del maestro. La maggior parte delle persone era fuggita all'età di tredici anni circa. Ma a scuola si incominciava a sei anni e si continuava finché si poteva, anno dopo anno, tutti insieme della stessa età. C'erano sempre degli sbandati, quelli che avevano dovuto ripetere un anno, uno o due per classe, e vivevano portandosi addosso quella vergogna per tutta la loro vita scolastica. Gli altri avevano tutti la stessa età, sulla carta. Non si poteva mai sapere con certezza quanti anni avevano i compagni, e crescendo un po' alcuni sviluppavano baffi in tenera età e altri scomparivano per alcuni giorni e tornavano con gli occhi lucenti di segreta consapevolezza, accompagnati da sussurri di discreti matrimoni in campagna. Tendevamo a sposarci presto a quel tempo. Non so cosa succedesse nelle scuole femminili, e adesso mi dispiace. Forse le ragazze scomparivano da scuola, un giorno c'erano e il giorno dopo non c'erano più, e tutti indovinavano che si erano sposate. Sposate, maritate, finite. Cerco di immaginare cosa si provava. Mi immagino di essere una donna, debole, con giustificazioni non dette, non dicibili. Mi immagino sconfitto.

Ma stavo parlando della prima mappa che ho visto. Avevo sette anni quando il maestro ce la mostrò, anche se non posso dire con sicurezza l'età degli altri ragazzi della classe. Sette è un numero propizio, e io sono qui da sette mesi, anche se non è per questo che mi aggrappo a questo numero per il momento della mia prima mappa. So che avevo sette anni perché era il mio secondo anno di scuola, e ho l'integrità dell'impero britannico a sostenermi, perché dovevo avere sei anni quando ho incominciato, come esigevano i regolamenti. Il maestro introdusse l'argomento in maniera teatrale. Ci fece vedere un uovo di gallina, tenendolo alto fra indice e pollice. Chi sa dirmi come si fa a far stare in piedi quest'uovo? Così ci presentò Cristoforo Colombo. Fu un momento favoloso e irripetibile, come se anch'io mi fossi imbattuto in un continente inaudito e mai immaginato.

Fu l'inizio di una storia.

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