RomaLinizio delle ostilità è segnato per il 22-23 agosto, quando il Senato riprenderà i lavori delle commissioni, la prima (Affari costituzionali) e la quinta (Bilancio). Ordine del giorno: la manovra bis di Tremonti. Lì, lala maroniana della Lega sferrerà lattacco alle misure contro «il ceto produttivo» (cioè: il Nord), varate dal Consiglio dei ministri con lavallo di Bossi e Calderoli. Roberto Maroni tace, ma il suo silenzio - nei giorni di fuoco prima e dopo il 13 agosto - è eloquente. Lultima dichiarazione pubblica del ministro risale al 3 agosto, giorno del discorso alle Camere di Berlusconi, apprezzato da Bobo. Poi più niente. È evidente che il capo del Viminale non vuole associarsi a un pacchetto di decisioni che condivide solo in piccola parte (la difesa delle pensioni di anzianità, i tagli alla politica). Mentre Calderoli difende, con interviste e lanci dagenzia, la manovra licenziata dalla Lega, e minaccia di espulsione chi dissente, Maroni lavora dietro le quinte. Ma si muove.
Loffensiva non devessere plateale (perciò il basso profilo), ma efficace nel cancellare gli errori contenuti nella manovra (perciò si mobilitano i parlamentari chiamati a intervenire nelle commissioni). Il Senato è il primo passaggio, e già nel gruppo di senatori leghisti, quelli vicini a Bobo, si concorda una linea di azione (anzi, di demolizione chirurgica) sul pacchetto Tremonti. «Così comè la manovra paralizza il ceto produttivo facendo pagare di più solo a chi le tasse le paga già e in abbondanza - spiega un parlamentare maroniano, di quelli allertati - Il nodo è la riduzione drastica e immediata dei funzionari pubblici, che spesso prendono stipendi molto superiori anche dei deputati. I dipendenti pubblici devono poter essere licenziati, come succede nel privato». I maroniani pensano a un meccanismo tipo costi standard, una «pianta organica standard» della Pa, modellata sulle amministrazioni virtuose del Nord. «E poi gli enti locali, non si può sempre tagliare a loro».
Su questo la Lega di Maroni è al lavoro, per mettere a punto una revisione del taglio ai trasferimenti che sta facendo infuriare tutti («tutti, anche quelli che stanno zitti» sottolineano dal Carroccio) gli amministratori leghisti. Gli altri punti del piano Maroni: abolizione delle Province metropolitane, tagli agli sgravi fiscali per il lavoro al Sud, defiscalizzazione delle spese documentabili per la famiglia.
Il guaio è che smontare la manovra vuol dire aprire un fronte interno alla Lega stessa, perché Bossi e Calderoli hanno controfirmato i tagli e le tasse di Tremonti. Ma il solco è già aperto. Lattacco di Calderoli, non diretto ma piuttosto esplicito, a due sindaci maroniani come Tosi e Fontana («chi fa distinguo sulla linea di Bossi può accomodarsi fuori dal partito») è un messaggio in copia conoscenza a Roberto Maroni. Che in questi giorni, ai molti che gli chiedono di prendere posizione, risponde: «non ora, non è il momento». Quando sarà il momento? Oltre alla guerriglia (civile) in Parlamento sulla manovra da lunedì prossimo, unaltra data segnata sul calendario di Bobo è settembre. Quello dovrebbe essere il mese per il «licenziamento» di Tremonti dal ministero dellEconomia. Si parla di un forte asse Maroni-Alfano-Draghi che punta a far coincidere la nomina alla presidenza Bce con un cambio al Tesoro. Maroni si è consultato con Draghi nei giorni scorsi, e insieme avrebbero condiviso un giudizio molto duro su Tremonti. Però cè lasse Bossi-Tremonti (con Calderoli come giuntura) che sembra altrettanto forte. Il capo leghista a giorni sarà in Cadore, a casa di Giulio, come di consueto per il suo compleanno (dopo il Ferragosto allHotel Mirella di Ponte di Legno, con comizio).
Comunque il malessere è arrivato nel quartier generale leghista, che sta provando a riparare. Calderoli dice che la manovra non può essere «smontata», ma «migliorata» sì (purché i saldi rimangano invariati). Due o tre idee, elaborate nelle ultime ore con Tremonti per «rilanciare leconomia», dopo la mazzata.
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