Così il netturbino di Erba insinua il dubbio

Il retroscena della deposizione choc. Ecco come le dichiarazioni spontanee rese ieri dall’imputato hanno anticipato i punti cardine della strategia difensiva

Così il netturbino di Erba insinua il dubbio

Como - Olindo rompe il silenzio e la difesa affila le armi. La deposizione shock di ieri è il primo showdown della difesa dei Romano, finora abbottonatissima sulla linea da adottare e sulle carte a disposizione per smontare le tesi della Procura. La strategia di Fabio Schembri, Luisa Bordeaux ed Enzo Pacia si basa su quattro pilastri: le incongruenze tra le confessioni dei due coniugi e la dinamica della strage che emerge dalla relazione dei Ris; la macchia di sangue sulla macchina di Olindo Romano; il riconoscimento da parte del superteste Mario Frigerio; le altre ipotesi investigative sulla strage accantonate quasi subito. Non a caso, nella dichiarazione in aula di Olindo, questi elementi ci sono già tutti.

Sangue fuori posto La perizia dei Ris, depositata solo lo scorso ottobre, ha stabilito una dinamica della strage diversa da quella che ancora oggi viene ipotizzata. C’è un guanto di lattice verde sul quale c’è Dna del piccolo Youssef ma non dei due coniugi. C’è un’impronta di scarpa su un cuscino in casa Cherubini, dove nessuno dei due imputati dice di essere mai salito. E soprattutto c’è una traccia di sangue che non appartiene né agli imputati né alle vittime. Elementi che la difesa intende usare per escludere Olindo e Rosa dalla scena del delitto.

Giallo sul verbale La sera della strage, mentre i coniugi Romano venivano interrogati in caserma, la Seat Arosa venne perquisita e una microspia fu piazzata sull’auto dei coniugi. Il verbale, che il Giornale è riuscito a visionare, reca la firma di Gallorini e di altri due agenti, uno dei quali aveva accompagnato il maresciallo dentro la casa dell’orrore. Entrambi avrebbero potuto inavvertitamente aver contaminato l’auto durante le operazioni. Ma a ispezionare la vettura, secondo quanto dichiarato da Gallorini in aula, sarebbero stati altri due carabinieri. Circostanza che però non risulta dal verbale depositato a processo. Una «leggerezza» sulla quale i legali non fanno mistero di puntare per insinuare il dubbio che la macchia di sangue di Valeria Cherubini sul battitacco della Seat che inchioda i coniugi sia potuta arrivare per errore, come peraltro ha ipotizzato lo stesso Olindo nel suo diario-Bibbia.

Il riconoscimento di Frigerio La difesa ha chiesto alla Corte di acquisire l’audio dell’intercettazione ambientale del 20 dicembre 2006, nella quale l’unico superstite della strage avrebbe confessato a Gallorini che il suo aggressore era Olindo Romano. Solo cinque giorni prima davanti al pm Simone Pizzotti, il testimone aveva descritto un uomo di etnia araba, di carnagione olivastra mai visto prima, che nulla c’entra con il suo bianco e ben noto vicino di casa. Tanto che la Procura lavorava a un possibile identikit.

Le piste scartate Nel corso delle indagini vennero prese in considerazione anche altri possibili moventi, dal «regolamento di conti nel mondo dello spaccio di droga tra i tunisini di Merone e gli albanesi di Ponte Lambro» a un possibile sgarro di Azouz ad alcuni calabresi quando era detenuto nel carcere di Como fino a una «pista interna» alla famiglia di Raffaella. Moventi scartati nel giro di pochi giorni, nonostante alcune intercettazioni telefoniche nelle quali i familiari di Azouz ipotizzavano che quell’eccidio fosse stato compiuto «da quattro persone» che potevano essere «quelli che c’erano in carcere con Azouz».

E nonostante due deposizioni (considerate poco credibile dagli inquirenti) di un immigrato, spinto a parlare dai Marzouk, che aveva visto alcuni extracomunitari e un italiano dalle parti di via Diaz all’ora della strage. Tutte strade che la difesa potrebbe decidere di percorrere nei prossimi giorni.

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