Così Nina faceva Amy prima della Winehouse

Così Nina faceva Amy prima della Winehouse

Replicante no. Simile sì. Com’è divertente il chiacchiericcio intorno alla pettinatura di Nina Zilli, e anche al suo stile musicale, che pure a Sanremo ha mostrato di essere un melting pot di bella voce e suoni vintage, dal soul Motown al pop anni Sessanta passando appena per il rocksteady. «Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma», garantiva Lavoisier (anche la gelosia non si distrugge: e difatti l’invidioso Marat lo spedì alla ghigliottina). Qualche volta però, musicalmente parlando, lo stile rinasce. O quantomeno si rimette in mostra: Nina Zilli lo farà anche all’Eurovision Song Contest di maggio in Azerbaijan. In fondo pure Amy Winehouse aveva un look simile alle dive della Motown, dalle Ronettes alle Supremes, che si pettinavano e si agghindavano proprio così, vestiti a fiori e corone di capelli neri. E ve la ricordate Mina al Sanremo 1961 alla corte di Lilli Lembo, Giuliana Calandra e Alberto Lionello? Cantò Le mille bolle blu con una «cofana» in testa che sembrava progettata da un architetto tanto era complicata.
Il gusto e il compiacimento per il passato, ecco che cosa agita Nina Zilli - Nina perché ispirata da Nina Simone (un’altra specialista di «cofane») e Zilli come il cognome di sua mamma da nubile - sin da quando era ancora una sognante e ambiziosa Maria Chiara Fraschetta a bordo dei The Jerks. Band piccolina, certo. E per di più fondata a diciassette anni, ossia nel 1997, al ritorno dall’Irlanda. Comunque niente di che. Più che le canzoni, a colpire erano, ammettiamolo, il fisico statuario di questa piacentina con la testa dura, e la sua voce che pareva uscire da una colonna sonora di Piero Piccioni. In quattro e quattr’otto debutta come veejay a Mtv e poi conduce l’ultima edizione del Roxy Bar con Red Ronnie su Tmc2 parlando di musica con quell’enfasi adolescente di chi mangia pane e musica. E intanto canta. Con i Chiara&Gliscuri, suppergiù 2001, ha già una cofana a modo suo, perché sfoggia i dreadlocks stile rasta però avvolti all’insù come faceva Etta James ai bei tempi. Solo due anni dopo Amy Winehouse ha pubblicato il suo primo disco Frank, beccandosi pure lei il paragone con un’altra cofanata di lusso, Sarah Vaughan. Il mondo musicale, dopotutto, è quello lì e forse neppure serve che Nina Zilli dopo il suo terzo Sanremo consecutivo (in gara e da ospite) oggi spieghi quasi scherzosamente, come ha appena fatto a Chi, che «sono arrivata prima della Winehouse e ho pure le prove». Anche se il grande pubblico l’ha conosciuta nel 2009 grazie al minitormentone 50mila, interpretato con Giuliano Palma, nei club di nicchia l’avevano già vista con Africa Unite o con i Franziska, vagabondi milanesi del reggae che se la sono persino portata in un tour europeo. «Oggi scrivo ciò che canto». Ed è per questo che nella voce di Nina Zilli non ci sono echi dolorosi e cupi stile Winehouse. C’è gioia, piuttosto, quella soffice del reggae, magari talvolta poco addomesticata come qui e là si coglie nel nuovo disco L’amore è femmina con il singolo sanremese Per sempre, il più minato di tutti, nel senso di Mina quella anni Sessanta, massimo metà Settanta. La Zilli in fondo è selvatica, qualche volta ruvida anche per carattere e ha più quello spirito «alternativo» dei piccoli locali di musica che l’allure da superdiva alla Beyoncé.

E forse su questo giocherà anche Giorgio Panariello che l’ha voluta, con Fabrizio Bosso e Franco Micalizzi, nello show che debutta su Canale 5 il primo lunedì di marzo. Un incrocio imprevedibile. E vedremo come lei, Nina, se la canterà rimanendo in equilibrio sul filo teso tra varietà e avanspettacolo.

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