Così gli okkupanti sfasciano il Teatro Valle

Sprechi in scena: ecco la vera storia del teatro che fa gola ai privati. L'autogestione al grido di "Tutto pubblico" affonda i progettiben avviati (come quello dello scrittore Alessandro baricco). Gli artisti fanno la fila per presenziare ma ignorano la situazione

Così gli okkupanti sfasciano il Teatro Valle

Roma - Un oceano mare di «okkupazione» e lì dentro a sguazzare molti furbetti dell’auto-promozione, che hanno fiutato la convenienza e dunque appaiono, solidarizzano, cantano, sottoscrivono (Zucchero, Jovanotti, Scamarcio, Moretti, Camilleri, e ieri sera mini show di Marco Travaglio con letture di Montanelli e Calvino), per unirsi al mainstream politico. Nel frattempo la revolución del Teatro Valle taglia le gambe a progetti che avrebbero rilanciato per davvero quel gioiello settecentesco. Uno su tutti, «Sette mosse per il Valle», firmato da Alessandro Baricco e finanziato da Oscar Farinetti, imprenditore «utopista» (non certo destrorso, come neppure lo scrittore) fondatore di Unieuro e poi di Eataly, sorta di supermercati gastronomici già sbarcati a New York, era quello più avanzato tra i diversi soggetti (il Franco Parenti di Milano, il Teatro di Roma, il Teatro Stabile di Calabria, la società di Luca Barbareschi, anche un teatro pubblico tedesco) interessati a rilevare con bando pubblico il Valle, finora disastrosamente gestito dal carrozzone pubblico Eti (Ente teatrale italiano), fortunatamente soppresso nel 2010.
Un’idea messa nero su bianco da Baricco che aveva suscitato l’entusiasmo del sindaco Alemanno e dell’ex ministro della Cultura (alcuni punti dal progetto che il Giornale ha potuto leggere: «Uscire dall’angolo del teatro di prosa e diventare luogo di qualsiasi spettacolo; il Valle come un terminal dove passano treni che provengono da ovunque, vanno in ogni direzione, e trasportano il mondo; ritorno al mercato, ciò che è premiato dal pubblico rende molto, ciò che non piace al pubblico rende meno»).
Tutto congelato, al motto populista «via i privati, il Valle resti pubblico», nuovo mantra del movimentismo da social-network. Il risultato è surreale: da 46 giorni il teatro è occupato ma l’occupazione la paga lo Stato, privato di un suo bene. Al simpatico costo di circa 5mila euro al giorno, tra utenze, affitti (il foyer e l’abitazione del custode sono proprietà del marchese Capranica del Grillo, 2mila euro al mese), assicurazioni, Siae, materiale elettrico e fonico, e poi il personale. Una spesa stimata, a carico del ministero dei Beni culturali, che si aggira complessivamente attorno ai 250mila euro. Tra gli «stipendiati» per occupare ci sono quattro dipendenti a tempo indeterminato ex Eti, ora in forza al ministero, pagati da Galan per garantire l’accesso e l’uso del teatro agli occupanti anti governo. Una beffa che sfiora il ridicolo ma che non sembra fermarsi, visto che gli occupanti annunciano un cartellone per il 2011-2012. Sì, ma chi paga? Sempre il ministero. Nel mentre le norme sulla sicurezza, sull’agibilità degli spazi della delicata struttura settecentesca, sui diritti d’autore, sono saltate a pie’ pari, configurando una serie di abusi e violazioni che tuttavia non sembrano impensierire più di tanto il Comune di Roma, poco propenso a mettersi contro una protesta avallata da vip e ormai assurta a simbolo.
In effetti il caso Valle è tutto politico, la cultura c’entra poco. Una «etichetta», com’è stata definita, che non tiene conto di quel che è successo al Quirino di Roma o alla Pergola di Firenze. L’altro storico teatro romano, nel 2009, ha scelto «una formula che affida alla professionalità e managerialità specifica di soggetti imprenditoriali il patrimonio di competenze del Teatro Quirino», si legge nel comunicato stampa di quei giorni. Così anche per l’antichissimo teatro fiorentino della Pergola, trasferito a una fondazione cui parteciperanno vari soggetti. In quei casi la «privatizzazione» è stata indolore, per il Valle invece no. Il ritorno al pubblico è un bello slogan che però ha dietro di sé macerie e dissesti.
Prima dello scioglimento dell’Eti e del trasferimento (in base al federalismo demaniale) del Valle al Comune di Roma (che poi lo ha inserito nel progetto Roma Capitale), il teatro pubblico Valle ha collezionato risultati piuttosto disastrosi. Un consuntivo dal 2000 al 2010 spiega che il costo netto giornaliero della struttura è stato di circa 5mila euro, l’incasso corrispondente 693 euro. Uno sbilancio totale, in dieci anni, di 18milioni di euro, equivalente a un buco annuo medio di 1.800.000 euro. Il settimanale di sinistra Left ha evidenziato poi una strana serie di avanzamenti e promozioni fatti a ridosso dello scioglimento dell’ente cui faceva capo il Valle. «Anomalie e/o contraddizioni», come sottolinea una relazione della Direzione generale Bilancio del Mibac, del maggio scorso. Una fotocopia delle voragini che attraversano la storia dell’Eti, chiuso il 31 maggio 2010 con un decreto. L’ultimo bilancio registrava conti da suicidio: 3,7 milioni di entrate nette, quasi 5milioni di costo personale, 5,6 milioni di perdita netta. Inevitabile chiuderlo, anche se «pubblico è bello», come rivendicano gli occupanti a oltranza.

Qualche novità potrebbe esserci, si vocifera di un recentissimo incontro tra il sindaco Alemanno e la coppia creativa Baricco-Farinetti. «Com’è triste la prudenza» scrivono sui lenzuoli gli occupanti. Vale anche per sindaco e ministri.

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