Altadefinizione

Così parleremo con le macchine (ma per noi teniamo almeno una domanda)

di Oscar

di Montingy

Un luogo in cui si possono intercettare i trend che attraverso l'elettronica di consumo determinano il cambiamento delle nostre abitudini e dei nostri comportamenti quotidiani, è il CES di Las Vegas. L'edizione dello scorso Gennaio 2018 ha registrato la presenza di 184.279, oltre 60.000 delle quali provenienti da fuori Usa; di 7.460 media accreditati e di 67.321 espositori in un'area di 241.547 mq. Un consesso di proporzioni colossali per vastità e varietà dell'offerta dove ho notato però un comune denominatore in qualsiasi ambito: la funzionalità «vocale». Primi tra tutti i televisori, forse semplicemente perché nella visione dei player di mercato la Tv diventa l'hub della smart-home. Google Home, con l'assistente vocale Google Assistant, è il prodotto di punta. Secondo le ultime rilevazioni di TechCrunch solo negli Usa ne sono stati venduti oltre 7.5 milioni ed ora è arrivato anche in Italia. Google ha dichiarato che da Ottobre 2017 ne sta vendendo «uno al secondo». L'assistente vocale di Google è già disponibile in oltre 400 milioni di device, inclusi telefoni, speakers, elettrodomestici e altro. Per Google Home (ma il discorso è assolutamente identico per Amazon Alexa) ci sono 1.500 device o servizi compatibili (ovvero comandabili via voce) appartenenti a oltre 225 brand diversi. Il caso d'uso canonico vede semplicemente il device interrogabile con un comando vocale senza alcuna interfaccia di acquisizione. Secondo le rilevazioni di Canaly, 17.1 milioni di smart speaker sono stati venduti in tutto il mondo nei primi nove mesi del 2017, poi, nell'ultimo quarter del 2017, ne sono stati venduti altri 16.1 milioni. Qui la competizione tra i market-leader Amazon e Google è furiosa. Quali sono le implicazioni per gli altri settori e le altre industry, in un contesto in cui le persone si stanno abituando ad interfacciare la tecnologia con la voce?

L'ILLUSIONE DEL SAPERE

L'aspettativa più consistente è quella di poter accedere a ogni tipo di servizio, compresi quelli bancari e di investimento, attraverso i device presenti a casa che abbiamo imparato a usare e con i quali abbiamo già costruito una relazione. Gli smart speakers e gli assistenti vocali sono dunque i front-end verso un ecosistema di servizi governati dai market leader, da Amazon, che ha circa il 70% del mercato, e da Google che la insegue. E per noi? La proiezione esponenziale è presto fatta: nasceremo, cresceremo, moriremo, nell'illusione che non esistano più domande a cui non si potrà trovare una risposta. Nel fare tutto questo, però, non necessariamente vivremo contribuendo all'evoluzione della nostra specie che continuerà a ridurre sempre più la profondità delle proprie domande sino alla sola misura che le macchine le consentiranno di raggiungere. Sarà impercettibile il momento in cui si invertirà la polarità: inizialmente faremo domande a cui le macchine potranno rispondere solo in maniera insoddisfacente, e quindi saremo ancora liberi di decidere se accontentarci di risposte banali, meccaniche, o se invece ricercare da soli la risposta. Ma molto presto le macchine inizieranno a implementare funzioni e capacità crescendo lungo una curva prima lineare e poi esponenziale fino a giungere a un livello di qualità delle risposte che la massa riterrà ben più che soddisfacente.

All'inizio ci sembrerà strano ma quando ci sentiremo rispondere sempre con qualcosa alle nostre domande, e mai con un «non lo so», quel processo esplorativo, di cui è pregna anche la domanda più semplice, verrà annientato dal potere devastante di una intelligenza artificiale armata da un algoritmo. Svanirà così dal nostro cervello, quasi del tutto, quella funzione preposta a trattenere dati e informazioni relativi al senso profondo di ogni domanda, esattamente come in questi anni è svanita la nostra capacità di memorizzare dei semplici numeri telefonici. Il processo sarà comunque graduale. Inizieremo col farci fornire risposte che faciliteranno la dimensione più pratica della nostra vita quotidiana, soddisfacendo così domande semplici legate alla nostra dimensione più motoria e istintiva. Poi passeremo alla sfera razionale, in cui le macchine inizieranno a spiegarci prima il significato e poi il senso di qualcosa. Poco dopo ci stupiremo nello scoprirci colloquiare con dei device, iniziando ad interagire con essi anche attraverso la nostra dimensione emotiva che riceverà risposte per lo più suggestioni che ci orienteranno nelle scelte relazionali e sociali. Ma lo stupore durerà poco perché di domanda in domanda, saremo assuefatti da quell'empatia meccanica che ci fornirà solo quelle stesse risposte che nella favola di Biancaneve lo specchio forniva alla Regina cattiva. Saranno tutte risposte che ci radicheranno nelle nostre convinzioni e le estirperanno appositamente, purché in entrambi i casi noi ci si possa sentire così tanto belli (e giusti) da essere «i più belli del reame». Potremo così finalmente naufragare liberamente, alla deriva di un oceano fatto di risposte meccaniche date anche alle domande più necessarie e vere, quelle di natura esistenziale e spirituale. Ci resterà a quel punto solo la speranza che anche con noi lo specchio prima o poi divenga sincero e rimetta alla nostra responsabilità l'indagine della risposta a una domanda vitale. Ma potrebbe anche non farlo, onde rischiare di trasformarsi in un device inutile; mentre quello specchio, proprio perché artificialmente intelligente, per sua stessa natura non dovrebbe mai attivare un processo di auto-eliminazione.

GRATIS, DUNQUE SONO

La cosa più buffa sarà poi che questo servizio ci verrà offerto gratuitamente, seppur solo apparentemente, perché nel mondo digitale quando un prodotto è gratis tu sei il prodotto. E così come noi in realtà oggi paghiamo Google Maps lasciandolo accedere ai nostri dati primo fra tutti la geolocalizzazione, e tutto ciò che ne deriva in termini commerciali, altrettanto noi pagheremo quelle risposte col bene più prezioso: la rivelazione a Google delle domande che ci facciamo. Perché, in fin dei conti, «noi siamo le domande che ci facciamo». È sempre stato così fin dal primo giorno della sua esistenza: Google ha dato riscontro alle mie ricerche fornendomi risposte fondate solo su ciò che prevedeva il suo di algoritmo, non il mio; e l'ha fatto perché ha l'arroganza di presumere o addirittura predire ciò che sarebbe utile per me, privandomi così dell'importanza che invece ricopre l'indagine e imponendomi così di dimenticare che parafrasando il Signore Buddha «la via per la felicità è la via». L'istante in cui correremo veramente il rischio di essere all'inizio della fine sarà quando inizieremo ad accontentarci delle risposte che ci verranno fornite, dimenticandoci che invece ogni domanda è già gravida della sua risposta, e che se non trovi la risposta devi riformulare meglio la domanda. Non a caso Einstein era solito dire «Sto con le mie domande molto più tempo degli altri. Quanto? Finché non trovo le risposte».

IL LUOGO INACCESSIBILE

Pensiamo alla funzione translator di tanti device: in breve tempo è passata dall'essere quasi comica, e quindi inutilizzabile, all'essere così precisa da divenire utilissima a fini non solo pratici ma anche relazionali. Ma la natura nascosta di una parola risiede nel suo etimo, che è il suo vero senso, e questo lo scopri soltanto studiando l'etimologia; così le domande, tutte le domande, hanno radici che affondano nella nostra storia personale più intima, che è un luogo da mantenere inaccessibile alle macchine. Pena l'autodistruzione come specie. La battaglia da combattere non sarà però contro le macchine e l'intelligenza artificiale che le guiderà, di cui io sono per altro un promotore e sostenitore; la battaglia da combattere sarà contro la nostra accondiscendenza verso noi stessi tutte quelle volte in cui ci accontenteremo di risposte meccaniche e algoritmiche; sarà contro la nostra pigrizia, la nostra comodità, la nostra scontatezza e la nostra paura di misurarci con le domande più profonde e vere. Farsi domande è un'arte impegnativa che richiede l'atto originario dell'essere umano di riflettere sul senso più profondo delle cose. Non possiamo permetterci di dimenticarci che le macchine sono un programma, mentre dobbiamo arrenderci all'evidenza che l'essere umano è un progetto su cui esso stesso ha una responsabilità non delegabile.

«Chi sono io? Perché sono nato qui, ora? Qual è il mio scopo?».

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