Cronache

Così dal porto di Genova entrano i clandestini senza alcun controllo

Così dal porto di Genova entrano i clandestini senza alcun controllo

(...) e Marocco e dove sbarcano ogni settimana centinaia di automezzi e migliaia di persone. Clandestini compresi. Del resto qui i controlli sono minimi, con maglie talmente larghe da far temere che dal porto ligure transiti di tutto, dagli irregolari alle merci rubate. Nella migliore delle ipotesi. Lo abbiamo verificato di persona, sabato scorso, aspettando sulla banchina l'arrivo del Carthage, il traghetto che ogni sette giorni collega Tunisi alla città della Lanterna e viceversa. Se si arriva a mezzogiorno all'imbarco Doria si possono vedere già oltre un centinaio di auto in attesa. L'attracco della nave è previsto per le 13 e la ripartenza per le coste africane per le 18. Attorno al porto sembra di essere in una città araba. Auto stracariche arrivano da tutto il Nord Italia, ma soprattutto da Francia e Centro Europa. Sono emigrati maghrebini che tornano ai paesi d'origine. Sui tettucci delle vetture, stipate fino all'inverosimile, c'è di tutto, perfino frigoriferi e lavatrici, ancora imballate. Il traghetto attracca con due ore di ritardo. Pochi minuti prima sulla banchina arrivano un paio di pattuglie della Polmare. In tutto sei uomini, tre in divisa, altrettanti in borghese. Hanno il compito di vigilare lo sbarco degli automezzi. Di fatto non possono fare altro che dirigere il traffico, perché certo non riescono a controllare le centinaia di vetture e camion.
In fondo alla corsia, prima dell'ingresso nel traffico cittadino, c'è il punto di controllo che però effettua verifiche a campione, una macchina sulle dieci, venti, trenta che passano senza verifiche. Non ci sono scanner per automezzi, quelli che individuano dispositivi elettronici o vani nascosti. Lo sbarco dei passeggeri a piedi è affidato a due poliziotti. I pedoni passano sotto una passerella di plexiglas che collega la fiancata del traghetto al terminal dello scalo marittimo. Gli agenti verificano i documenti, ma non ci sono perquisizioni personali, neppure scanner elettronici come quelli usati negli aeroporti. Non ci sono cani antidroga o antiesplosivi. Nell'area di sbarco la zona «sterile», che dovrebbe consentire il monitoraggio di passeggeri e automezzi, è separata dalle corsie riservate a chi si imbarca da semplici transenne sotto la vigilanza di un paio di guardie giurate. Quando il portellone del traghetto si abbassa sarebbe un gioco da ragazzi passare dalla nave alla zona d'imbarco e uscire dal porto eludendo i controlli dei pochi addetti troppo indaffarati a gestire un flusso ininterrotto di veicoli e pedoni.
Insomma i controlli non ci sono, manca il personale, mancano le attrezzature. Il risultato è che il porto di Genova è una porta colabrodo verso l'Europa. Esagerazioni allarmistiche? Non proprio. L'anno scorso la Polmare accusò un addetto della vigilanza privata di fare entrare illegalmente clandestini dal Maghreb. Il vigilante, secondo le accuse dei poliziotti, riceveva settemila euro per clandestino. Una cifra considerevole. Chissà chi erano quegli uomini fatti passare senza controlli. Filippo Galelli, segretario provinciale del sindacato di polizia Sap, conferma l'impasse della sorveglianza in porto: «Quello che avete rilevato è vero - dice -. Le maglie sono larghe perché non ci sono uomini a sufficienza. Per il controllo sul territorio ci sono 60 agenti, ma quando arrivano più navi contemporaneamente, traghetti da Africa, Spagna, Sicilia e Sardegna, il carico di lavoro è insostenibile. E ogni richiesta di potenziamento di uomini e mezzi è stata bloccata da mille veti e intoppi di ordine economico e logistico». Il risultato di questa situazione è la dissolvenza dei controlli. In periodo di allarme terrorismo non è cosa trascurabile.

Anche perché il commando che ha colpito a Mumbai è arrivato, indisturbato, proprio via mare.

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