Tre, e diversissimi. Il picconatore, il temporeggiatore, il defribillatore istituzionale. Lex premier con i sassolini nelle scarpe salito al soglio, come dice lui, «per ripiego». Il vecchio padre costituente democristiano con «la toga appiccicata sullanima», eletto negli anni della bufera di Mani pulite. E il governatore della Banca dItalia, il civil servant prestato alla politica nel momento del maggior disorientamento del Paese, che ha rilanciato concetti come patria e unità nazionale. Tre presidenti differenti, tre punti cardinali, tre modi lontani di interpretare il ruolo di capo dello Stato. Se il primo distruggeva per dimostrare che la Costituzione andava aggiornata, se il secondo divideva per la sua «supplenza» che riempiva gli spazi vuoti lasciati dal Parlamento, il terzo ha cercato di incollare i cocci e di ricreare un minimo di valori comuni nel nuovo bipolarismo, influenzando pure lui lo svolgimento del dibattito politico.
Diversi, sì. Eppure le presidenze di Francesco Cossiga, Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi a ben vedere sono più simili di quanto possa sembrare. Sono infatti tre facce della stessa evoluzione del ruolo del Quirinale. Ventun anni di crisi, di cambiamenti elettorali, di passaggi incompiuti dalla prima alla seconda Repubblica: in questo periodo il peso del Colle è cresciuto, si è ingigantito, è passato da una funzione di rappresentanza e garanzia a una più «politica», quasi da contropotere. Una metamorfosi lenta ma costante e ormai forse definitiva, un cambio di pelle vivacemente ricostruito da Marzio Breda in La guerra del Quirinale (Garzanti, pagg. 234, euro 14,50) che, a differenza dei tanti libri che periodicamente escono sullargomento, è riuscito a trovare quel filo, quel legame sostanziale fra tre esperienze solo apparentemente diverse.
Breda racconta i segreti e le funzioni delle varie corti, rilegge gli ultimi due decenni della nostra storia e individua nel «pertinismo» il punto di svolta. Dopo il presidente-partigiano, che è stato sul Colle tra il 1978 e il 1985, il Quirinale infatti non è più stato lo stesso. Dal giorno della scomparsa, il 24 gennaio 1990, centinaia di Comuni continuano a dedicargli vie e piazze. Ancora a pochi giorni dal 2000, unindagine della Doxa considerava Sandro Pertini «litaliano del XX secolo». E il suo stile franco e burbero, poco rispettoso del cerimoniale, condito da senso comune, bontà e un po di retorica nazionalistica ha finito per attecchire anche sui suoi successori.
In più, ovviamente, Cossiga, Scalfaro e Ciampi hanno dovuto fare i conti con la più lunga «crisi di passaggio» della nostra democrazia: la scomparsa dei partiti tradizionali, la nascita di nuove formazioni, la caduta del Muro, le riforme istituzionali. La trasformazione non è finita, ma intanto luomo del Colle non è più solo un notaio. Le bocce sono ancora in movimento, però nel frattempo la nostra è diventata nei fatti una Repubblica semipresidenziale. Certo, anche nel passato qualche capo dello Stato si è «allargato». E il libro ricorda di Luigi Einaudi che mandò a Palazzo Chigi Giuseppe Pella sfidando la Dc. Di Giovanni Gronchi che voleva fare una sua politica estera. Di Antonio Segni che cercò di ostacolare la nascita del primo centrosinistra. Di Giuseppe Saragat che dal Quirinale innaffiò la pianta dellunità socialista. E di Pertini, che prendeva di petto le carenze negli aiuti dopo il terremoto dellIrpinia e che mediava tra governo e controllori di volo.
Nessuno però ha raggiunto il livello degli ultimi tre. Tra giochi di potere, di pesi e contrappesi, i presidenti, si legge «sono stati costretti a farsi più forti» e la Costituzione si è nella sostanza modificata. Sono stati anni di guerra attorno al Quirinale, che adesso è listituzione preferita dagli italiani: in tutte le classifiche supera anche la Chiesa e i carabinieri.
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