Così la Quercia si sbarazzò dei socialisti

È un libro di citazioni il pamphlet «Garantisti dei miei stivali» scritto da Stefania Craxi, deputata di Fi, curato da Paolo Pizzolante e pubblicato da Koiné. Una copia verrà distribuita a deputati e senatori. Sul banco degli imputati la vecchia classe dirigente della Quercia. La tesi dell’autrice è dimostrare che D’Alema cavalcò l’ondata giustizialista del ’92. Nell’introduzione si legge che l’attuale ministro degli Esteri avrebbe ammesso: «Non avevamo alternativa, eravamo come una grande nazione indiana chiusa fra le montagne con una sola via d’uscita e là c’era Craxi con la sua proposta di unità socialista. Come uscire da quel canyon? Craxi aveva un indubbio vantaggio su di noi: era il capo dei socialisti in un Paese europeo occidentale, quindi rappresentava la sinistra giusta per l’Italia, ma aveva lo svantaggio di essere Craxi. Era dalla parte giusta ma guidava un gruppo affaristico avvinghiato al potere democristiano. Avevamo una sola scelta: diventare noi il partito socialista in Italia».
Poi la versione dell’ex leader Psi: «D’Alema sapeva benissimo dei finanziamenti illegali al suo partito, che non solo conosceva ma di cui personalmente si occupava. Egli ha mentito. Lo ha fatto spudoratamente, più volte». Parole drammatiche se messe in correlazione con una dichiarazione di Achille Occhetto alla Stampa il 20 dicembre ’92: «Qui celebriamo la fine del craxismo e la bandiera della sinistra resta nelle nostre mani».

Il quadro è completo considerando ciò che disse Piero Fassino al Corriere della Sera il 15 maggio ’93: «Centinaia di deposizioni di manager pubblici e privati hanno messo in luce un sistema politico-affaristico fondato sull’intreccio fra grandi imprese e partiti di governo, in primo luogo Dc-Psi. Il Pds con questo sistema non c’entra».

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