da Roma
Regista di El Alamein - La linea del fuoco e sceneggiatore di Mediterraneo, premiato con l'Oscar, Enzo Monteleone sta per raccontare Il capo dei capi, la vita di Totò Riina - dalla bomba che nel 1943 gli uccise padre e fratello all'arresto - in sei puntate di dieci ore complessive, prodotte da Pietro Valsecchi, quello dei Ris, per Canale 5 (dove un altro film tv di Marco Risi racconterà la vita di Salvatore Provenzano con Michele Placido).
Signor Monteleone, da In nome della legge di Germi alle varie Piovra, la mafia fa sempre spettacolo. Ma si può ancora essere originali?
«Cerco una via di mezzo tra il cinema-inchiesta di Rosi Le mani sulla città, Salvatore Giuliano, Il caso Mattei... e Quei bravi ragazzi di Scorsese».
Protagonista?
«Claudio Gioè dei Cento passi e della Meglio gioventù. Fra gli altri interpreti, Claudia Pandolfi e Daniele Liotti».
E fra i personaggi?
«Dalla Chiesa, Falcone, Borsellino...».
La realtà italiana - perfino quella di Giorgio Perlasca - non ha più cittadinanza al cinema.
«E si rifugia nella fiction, dove, come negli Stati Uniti, si va verso serie più adulte. Hollywood produce molti film, circa quattrocento l'anno, ma pochi interessanti. Dilagano i supereroi da fumetto...».
...Al Festival di Berlino ci saranno infatti 300 e Spiderman. Ma Cinecittà sopravvive con...
«...Commedie sentimentali e film di Natale. E proprio Raicinema fa questa politica!».
Si dice che, ambientate oggi, le commedie costino meno dei film storici.
«El Alamein - La linea del fuoco è costato la metà di Ricordati di me. E in genere i film italiani si fanno con due lire».
Si dice anche che gli esercenti vogliano andare sul sicuro.
«Salvo Aldo, Giovanni e Giacomo, Benigni e i film di Natale, gli esercenti preferiscono i film americani, anche quelli medi, a uno di Kaurismäki o Sorrentino».
Già col Tunnel della libertà, lei è passato alla tv e pare deciso a restarci. Buon per lei, ma noi dovremo rassegnarci a un cinema italiano quasi solo natalizio.
«Sono vent'anni che si rifà lo stesso film e che esso trionfa. Perché? La mia risposta è che il cinema riflette lo stato della nazione. Anzi, è miracoloso che esista ancora un cinema italiano».
La cui crisi è cronica.
«Quando ho fatto il mio primo film da regista, ho usato materiale di repertorio. Ho trovato delle interviste in bianco e nero a Fellini, Cristaldi e Vittorio De Sica che parlavano della crisi del cinema italiano! Ed erano gli anni Cinquanta! E Fellini era sul set della Dolce Vita!».
E dopo?
«Dalla fine degli anni Ottanta, il nostro cinema ha dovuto confrontarsi non più col potere, ma con lo strapotere planetario hollywoodiano; con l'home video, la pay tv, il boom del consumo tv».
L'Italia sta peggio di quel che comunemente si creda?
«Esempio: gli stadi vuoti. E non sono vuoti per via della tv, perché anche in Gran Bretagna e in Spagna le partite vanno in tv, ma gli stadi non sono vuoti».
Declino italiano?
«Crollano le grandi civiltà, perché non dovrebbero crollare anche le piccole, come la nostra?».
C'è chi discorda. Preveniamo obiezioni.
«Certo, ci sono ancora sacche di resistenza. Nella malasanità sopravvivono buoni medici; l'Università dà lauree inutili - che cosa fa un sociologo oggi? - ma ha ancora buoni insegnanti...».
Veniamo alle cause del declino.
«Nessun governo recente ha fatto una politica per la cultura italiana».
Connettiamo il vasto tema al cinema.
«Ad andare male in Italia non è solo il cinema italiano. Va relativamente male anche quello americano, che in Spagna, con una popolazione del 20 per cento in meno rispetto all'Italia, incassa il 20 per cento in più».
In compenso l'Italia produce più festival, ma è normale: morta l'arte, spuntano i musei!
«I festival sono ostaggi delle uscite in sala. Alla Mostra di Venezia, Müller non ha fatto nulla di meglio di De Hadeln».
Dunque?
«I festival smettano di far da vetrina e d'alimentare pettegolezzi. E dimagriscano».
E se dimagrissero male?
«Cioè se perdessero The Departed, tenendo il resto? Ma al film di Scorsese non occorre la Festa; è alla Festa che occorre un film come quello».
Chiudiamo allora anche la Festa di Roma, oltre alla Mostra di Venezia? Gioiranno al Festival di Torino!
«A Roma le rassegne di cinema erano già molte. Da qui i divi passavano già per presentare i film: DiCaprio è venuto due volte in tre mesi! E Scorsese c'era rimasto un anno (per Gangs of New York - Ndr)».
Cinecittà impiegava migliaia di persone; la Festa impiegherà qualcuno di loro rimasto a spasso.
«Ma poteva farlo anche una Festa diversa, ideata sul modello del Sundance, per esempio».
Tornerà al cinema? Lei doveva girare...
«Un film sul caso Sgrena: Fuoco amico. Altrove una storia così sarebbe già passata sul grande schermo. La Sgrena mi ha detto tutto. Prima o poi farò il film».
Una promessa o una minaccia?
«È (Monteleone sorride - Ndr) una storia vera, non roba da baretti e ristorante».
Per vedere rappresentata la notte di Sigonella ci volle un po' di tempo, ma soprattutto ci volle la tv: ricordo un Gabriele Ferzetti che, con avieri e carabinieri, ferma gli americani.
«Oggi è meno facile riuscire con la Sgrena e soprattutto con l'uccisione di Calipari. Ma non rinuncio a raccontare storie diverse da quelle dell'Italietta che vanno per la maggiore».
Eccezioni, al cinema intendo?
«Private di Saverio Costanzo».
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