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Così si batte il Tfr sul lungo periodo

Un lavoratore di 30 anni con ancora 35 anni di vita lavorativa davanti, deve affrontare la prospettiva che la propria pensione sia «magra» con una maggiore consapevolezza rispetto a chi è in procinto di andarci. Infatti questo risparmiatore subirà una differenza più marcata tra il suo ultimo stipendio e la pensione (in gergo «scopertura previdenziale»). Per semplificare al massimo, un 30enne lavoratore dipendente con stipendio annuale di 30mila euro lordi e dinamica salariale moderata (cioè poco sopra l’inflazione) dovrebbe andare in pensione con un trattamento previdenziale Inps pari a circa il 51% dell’ultimo stipendio a cui potrà aggiungere quanto accantonato con il Tfr. In questo caso, trasformando in rendita il capitale accumulato con il trattamento di fine rapporto, potrebbe arrivare al 60% dell’ultima retribuzione. Se, invece, optasse subito per la previdenza complementare le cose migliorerebbero. Considerando il contributo del datore di lavoro (l’1,50% della retribuzione lorda) e un fondo pensione che renda all’anno quanto il Tfr netto, la pensione sarebbe infatti pari complessivamente al 64% dell’ultimo stipendio. Ma chi si incammina oggi sulla strada della previdenza integrativa ed è pronto a sfruttare l’atteso rimbalzo delle Borse dopo le forti perdite subite nel 2008 e in questo primo scorcio del 2009, potrebbe ottenere un risultato anche superiore: la sua pensione potrebbe oscillare tra il 70% il 75% dell’ultima retribuzione.

Ecco una ipotesi: il lavoratore potrebbe scegliere un fondo pensione prevalentemente azionario per 25 anni (6% il rendimento medio annuo) per poi spostarsi per altri 5 anni su un prodotto bilanciato obbligazionario (3% il rendimento); infine, per gli ultimi 5 anni, si potrebbe affidare a un fondo di garanzia (rendimento al 2%) per non compromettere i sacrifici fatti.

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