Così la sinistra entrò in patria dalla breccia di Pisapia

Dopo la festa della Repubblica arriva, imprevista, la festa della monarchia

Così la sinistra entrò in patria dalla breccia di Pisapia

Dopo la festa della Repubblica arriva, imprevista, la festa della monarchia. Come oggi, cent’anni fa, fu inaugurato dal Re a Roma l’Altare della patria, che fu l’apoteosi dei Savoia e del Risorgimento. Giovanni Pascoli tenne il discorso solen­ne. Socialisti, cattolici e repubblicani criti­carono la festa a cinquant’anni dalla na­scita dell’Italia, perché ai primi non piace­­va l’Italia borghese, ai secondi l’Italia anti­clericale e ai terzi l’Italia monarchica. Ad altri, come Ruggero Bonghi, non piaceva collocare il monumento a ridosso del Campidoglio, dei Fori Imperiali e delle ro­vine di Roma antica; meglio una zona mo­derna.

Passarono solo dieci anni e il Vittoriano passò dal re al popolo, perché vi fu sepolto il Milite Ignoto, l’anonimo caduto, man­dato al fronte dalla leva obbligatoria nella Prima guerra mondiale. Così le masse conquistarono la patria, l’eroe non fu più il sovrano a cavallo ma l’umile fante di trin­cea. E il nome del monumento non evocò più Vittorio Emanuele ma la Vittoria e Vit­torio Veneto. Oggi è assai vago il ricordo di quella monarchia breve, che durò lo spa­zio della vita di un uomo: un nonno, un figlio e un nipote e poi finì in malo modo. Un tris di re, neanche un poker.

Restò quel monumento forse brutto ma solenne per celebrare la religione del­la patria; una tombona di famiglia in pie­no centro, anche se i re erano sepolti al Pantheon. Però quel macroscopico mau­soleo unì tre Italie, quella monarchica e liberale, quella fascista e nazionalista, quella democratica e repubblicana. Oggi l’Altare della patria è un pugno nello sto­maco di Roma, un gigantesco organo a canne dove si compiono gli atti sacri del­­l’Italia civile, una specie di San Pietro lai­co, nel cui pancione brulicano mostre e musei. Pur nel suo ingombrante anacro­nismo, quell’edificio ci ricorda che la no­stra storia non è solo antica, ma continua anche nella modernità.

Bella o brutta quella storia, come bello o brutto il Vitto­riano che la ricorda, ma è la nostra storia. Di noi, italiani. Godiamoci questo lampo d’amor patrio, approfittando della prov­visoria concordia nazionale da quando la sinistra ha scoperto la patria con la brec­cia di Pisapia.

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