Arturo Gismondi
Si è osservato, anche da queste colonne, il silenzio del governo a proposito della campagna scatenata da una parte del mondo musulmano, e da tutte le centrali della violenza che ad esso si richiamano. A questo silenzio, che da parte dei «cattolici adulti» alla Prodi si tinge di fuga, si è sottratto nella realtà un ministro della Repubblica. Non è quello dellInterno Giuliano Amato, che ha giurisdizione sugli affari di culto e che, avendo di recente convocato una Consulta fra le organizzazioni musulmane in Italia, poteva avere qualche raccomandazione da fare. Macché. Labitudine dei ministri dellattuale governo di scambiarsi i ruoli è tale che è toccato ad Antonio Di Pietro, non nuovo a queste imprese, di intervenire con una sorta di fatwa personale contro il Papa, accusato di «gettare acqua sul fuoco». Di Pietro si spinge ad impartire al Papa una lezione sul Vangelo, ricordando che Gesù «insegnava di porgere laltra guancia», raccomandazione che in questo caso andrebbe rivolta, a prendere sul serio le ragioni del ministro, ai musulmani che lanciano i loro anatemi e le loro fatwa.
In verità nei giorni scorsi il Papa di critiche, e ancor più di condanne, ne ha annoverate diverse nel nostro Paese, e le ragioni esposte dai suoi critici sono molto spesso quelle che piovono sulla sua persona da parte di circoli e autorità musulmane, spesso fra le meno moderate. Nei giorni scorsi la stampa di estrema sinistra si è gettata sullargomento ricorrendo ad argomenti alquanto spericolati. Per Liberazione, organo del partito di Bertinotti, quella di Ratzinger «è stata una provocazione esplosa come una bomba a orologeria» nel mondo musulmano. Che sarebbe, semmai, una buona ragione per muoversi con una maggiore cautela. Il Manifesto monta una foto-titolo ove si vede il Papa che si terge le lacrime sormontata dalla scritta «Sua colpa». Il giornale comunista ne approfitta per rivelare, nientemeno, che «dopo duemila anni si dimostra la fallibilità del Papa». Anche qualche giornale dal quale ci si aspetterebbe qualche cautela in più si esibisce in un linguaggio che non sembra fatto per calmare le acque. Il vaticanista di Repubblica parla di una «débâcle in cui è precipitata la Santa Sede», di «una vera e propria Waterloo provocata dallo strappo di Ratzinger». Queste voci, lo sappiamo, vengono annotate dalla stampa nei Paesi islamici, e trovano uneco puntuale sulla Tv Al Jazeera.
In questo genere di dichiarazioni e in questi atteggiamenti, insieme a molti altri, cè uno scarso senso di responsabilità. Dinanzi a un mondo musulmano che viene descritto come in preda a ira e spirito vendicativo per una presunta offesa arrecatagli dal Papa, non si può fare di peggio che accreditare le ragioni di tanto furore. Anche perché, stando alle prese di posizione di alcuni gruppi terroristici, a essere minacciata sarebbe la Santa Sede, e il nostro Paese che la ospita.
Ma il tema vero suscitato dalle reazioni provenienti dal mondo arabo e da taluni circoli musulmani, comprese le centrali del terrorismo, non è quello sul quale ci intrattengono i critici del Papa. Il problema che si ignora o si finge di ignorare è quello di uno spirito di violenza col quale una parte dellopinione islamica, eccitata dai gruppi terroristici che rappresentano per noi e per altri Paesi una minaccia permanente, si risponde ad ogni argomento di discussione, o ad ogni opera di informazione e di cultura, rinnovando esperienze ormai note, dalla condanna a morte per unopera come i Versetti satanici di Rushdie, o con la scia di sangue seguita alle famose vignette pubblicate da un giornale danese.
Nel caso della lectio magistralis del Papa a Ratisbona si è risposto con accenti di violenza e di minacce estreme, a una opinione, che peraltro non era quella di Ratzinger ma di un personaggio del Medio Evo bizantino. Il che non depone certo a favore di quel dialogo che viene raccomandato in ogni occasione. Ed è proprio questa preoccupazione a suggerire un limite ad atteggiamenti che rivelano, nella realtà, posizioni largamente preconcette. Legittime come altre, beninteso, ma che non possono arrivare, come è successo, a una deformazione del pensiero del Papa e della Santa Sede.
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