«Così sono entrata al Meazza e ho messo un coltello in curva»

Una nostra cronista elude i controlli e armata di serramanico e martello gira un’ora nello stadio

Davide contro Golia. Voglio sfidare il gigante in cemento armato protagonista delle cronache di questi giorni. Il luogo simbolo del calcio che da sabato scorso è diventato anche un tabù. San Siro. Ore 17,20 entro allo stadio con un coltello in tasca e un martello sotto la giacca. Ultrà per un giorno: voglio provare a nascondere le mie armi in previsione della partita di domenica. Proprio mentre il consiglio dei ministri vara le misure straordinarie per la sicurezza negli stadi. Nel lato nord del piazzale fervono i lavori: sono in costruzione le mega cancellate, quelle che renderanno a norma e «sicuro» il Meazza. Mi avvicino al gabbiotto, appena superate le cancellate: «La biglietteria?» chiedo. «Un documento per piacere», mi dice il ragazzo. «Non ho i documenti, sono senza borsa» dico. Il fotografo che mi accompagna però ce l’ha: «Basta uno?». «Se andate insieme sì» risponde lo steward. Benissimo. Lui si fida. Lo scrive e ci lascia il pass per entrare, esce dal gabbiotto per mostrarci la strada: la biglietteria del Milan (domenica si disputa Milan-Livorno) è dentro il Meazza, al primo piano. Il fotografo con me ha un’enorme borsa a tracolla ma la cosa non preoccupa la security. Ci guarda, però, mentre ci allontaniamo.
Entriamo allo stadio, invece che seguire le indicazioni, arriviamo sugli spalti. Cominciamo a salire sotto la luce abbagliante dei riflettori. I giardinieri stanno mettendo il prato. «Scalo» i gradini sporchi: sigarette spezzate, indizio di qualche canna fumata in libertà, caffè rovesciato, mozziconi. Salgo, ogni tanto guardo giù. Lo stadio regala sempre un bel «panorama». I giardinieri piantano una zolla dopo l’altra. Passa anche un gruppo di ragazzi in visita guidata: con soli 12 euro puoi visitare il museo, senza macchina fotografica, e fare un tour guidato dentro San Siro. Meglio gratis e da sola...
Arrivo alla tribuna stampa, supero la barriera di plexiglass: sono nella curva. Salgo ancora, esco e mi trovo nei corridoi tra gli spalti e le rampe. Cammino indisturbata nel silenzio più assoluto, in compagnia del fotografo, di un martello e del fedele coltellino. Provo ad aprire i bagni, sono chiusi ma le finestre hanno un davanzale esterno dove decido di nascondere il mio coltello. È buio qui. Clic...flash...un’ultima occhiata al campo verde. Mi affaccio all’esterno sul piazzale. Si vede il gabbiotto della sicurezza. Per scendere, questa volta, uso le scale, è buio pesto e non incontro nessuno. Esco dallo stadio invece che proseguire diritto, mi dirigo a sinistra ma lo steward mi richiama «Ehi». Consegno il pass, l’uomo restituisce la carta d’identità al fotografo e ce ne andiamo. Lo stadio è violato, mentre la Melandri e i compagni varano le misure straordinarie di sicurezza.
E pensare che questa mattina non era stato così facile. Lo steward all’ingresso 21 mi aveva indicato la direzione per il Museo dello stadio e mi controllava a vista. Era bastato che deviassi dalla «strada maestra» per essere richiamata. Anche il secondo tentativo era andato a vuoto: alla vista di un cancello aperto l’avevo varcato senza esitazioni, ma dal gabbiotto nascosto dalle inferriate era uscito un uomo: «Dove andate? La biglietteria è chiusa adesso». Uno stop e un indizio. «La biglietteria, al primo piano, apre alle 14.30» mi aveva spiegato. Giro intorno al Meazza, di fronte all’Ippodromo c’è un altro varco aperto per lavori. Gli operai seduti stanno facendo pausa.

Faccio per entrare nel cantiere, ma l’uomo della sicurezza mi ferma: «Non si può entrare». «La sicurezza funziona sul serio» penso, almeno fino alle 17.10 quando al terzo «assalto» il mio piccolo blitz «armato» va a buon fine.

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