L eo Szilard (1898-1964) faceva parte di quel gruppo di portenti ungheresi, tra cui Eugene Wigner e John von Neumann, che spiccarono nella fisica e nella matematica del Ventesimo secolo. Verso la fine della vita si dedicò a scrivere novelle. In una di queste un miliardario chiede a un ricercatore scientifico come rallentare lavanzata della scienza che, secondo lui, corre troppo. Ecco la risposta: «Si potrebbe creare una fondazione con la dotazione annuale di 30 milioni di dollari. I ricercatori che hanno bisogno di denaro potrebbero avanzare domande di finanziamento mostrandosi convincenti. Per esaminare i dossier si potrebbe far conto su dieci comitati composti ciascuno di una dozzina di ricercatori. Si prendono i ricercatori più attivi e li si nomina membri di questi comitati. In primo luogo, i migliori ricercatori sarebbero sottratti ai loro laboratori e occupati a valutare i dossier. Poi, i ricercatori alla ricerca di quattrini si concentrerebbero su temi giudicati promettenti e sui quali sarebbero certi di poter pubblicare rapidamente. Nei primi anni, vi sarebbe un aumento considerevole della produzione scientifica; ma a forza di cercare cose evidenti, presto la scienza si inaridirebbe. Si imporrebbero delle mode e chi le seguisse acquisirebbe un credito. Chi non le seguisse non avrebbe alcun credito e imparerebbe rapidamente a seguire a sua volta le mode».
Ebbene, ci siamo in pieno. Anche peggio. Non si tratta solo delle mode che pure ormai sono determinanti: quando si dà come parametro di valutazione di un ricercatore la capacità di procurarsi denaro, chi è capace di riuscirvi diventerà un modello per tutti e nessuno si discosterà dal filone aurifero. Si tratta piuttosto del primo «freno» prospettato da Szilard - la faccenda dei comitati - e in versione degradata. Altro che 10 comitati di 12 ricercatori! Ormai tutto sta diventando un gigantesco comitato. E non soltanto la ricerca scientifica, ma luniversità, lintero sistema dellistruzione, per non andare oltre. Solo per valutare il sistema universitario nel suo complesso occorrerà mobilitare dei «panel» di molte centinaia di professori, e non parliamo delle valutazioni interne alle singole università, delle valutazioni dei progetti di ricerca locali e nazionali. Ma questo è niente: cè lesplosione delle tabelle con cui si valuta qualsiasi cosa con numeri. Vuoi un posto? Tabella e punteggi. Vuoi un incarico di qualsiasi tipo? Tabella e punteggi. Vuoi un congedo? Tabella e punteggi. Lattività didattica svolta? Tabella e punteggi. Provate a pensare che cosa può diventare - e sta diventando - tutto questo nel sistema scolastico, che è molte volte più grande del sistema universitario e della ricerca, e avrete il capogiro. Qui, oltre alla «certificazione delle competenze», ci sono le nuove tabelle per i test Invalsi, e poi questo e poi quello: unalluvione tabellare-burocratica che è fonte di incontenibile goduria per quella amministrazione che, come da più parti si sottolinea, è il vero potere, non soltanto in Italia, ma in Europa. Si ha idea di quale prezzo occorra pagare per ottenere un finanziamento europeo per la ricerca? Una modulistica spaventosa, continui rendiconti, viaggi periodici a Bruxelles per certificare landamento dei lavori, i quali, beninteso, sono lultimo dei problemi: limportante è rendicontare bene, magari il vuoto. A tal punto che ormai ci sono agenzie che si occupano solo di questo e «insegnano» con supponenza ai ricercatori come fare.
Lesito più rilevante di questo andazzo è il trionfo dei mediocri. Per una singolare, ma non strana, eterogenesi dei fini, la meritocrazia produce il suo contrario: lapocalisse dei dossier e delle tabelle apre la strada a chi meglio riesce in materia. Se è assai più facile accodarsi a una moda nella ricerca scientifica che non affrontare tematiche nuove e inesplorate, figuriamoci se non è più facile darsi alla progettazione e compilazione di sistemi di valutazione tabellare. Scrive un collega universitario che nella sua sede l'orgia delle tabelle ha come risultato chi si imboscava nella ricerca e nella didattica, ora si imbosca meglio, perché è insuperabile nel compilar tabelle. Il risultato è che fare ricerca e didattica è sempre più secondario: quel che conta è rendicontare. Se compili un programma di un corso con tutti i crismi sei a posto, in classe puoi fare quel che ti pare, non importa a nessuno. Ma - si dirà - puoi essere smascherato dalle valutazioni degli studenti. Eh no: basta un po' di demagogia e le valutazioni saliranno alle stelle.
Molti anni fa il celebre matematico Bruno de Finetti scrisse un Manifesto di battaglia contro il culto dellimbecillità in cui chiamava alla lotta per «salvare lo Stato, liberandolo dalla dissennata disfunzione del suo inqualificabile pseudoapparato che ce lo rende ridicolo e odioso». Battaglia per ora persa, visto che l«inestricabile farragine» condannata da de Finetti si è propagata come la gramigna.
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