Così Togliatti spiegava il fascismo ma senza capirlo

Sul fascismo la bibliografia è ormai sterminata. Non c’è momento, aspetto e problema del suo manifestarsi che non sia stato indagato sotto i più diversi angoli visuali, tanto da poter dire che l’interesse verso la sua storia ha assunto forme enfatiche, quasi a significare che i conti con la sua esperienza siano ancora lontani dall’esser chiusi.
Cosa è stato il fascismo? Una concezione della vita e del mondo antiegualitaria e antiuniversalistica, rivoluzionaria e alternativa al liberalismo individualistico ed edonistico, intrisa del culto dell’azione, della forza e della violenza. Una concezione contraria allo spirito borghese e alla società capitalistica, tanto che si può dire che nel Novecento la divisione decisiva non passa tra fascismo, nazismo e comunismo ma tra libertà e non libertà, cioè tra la liberaldemocrazia e i totalitarismi. Nella sua formulazione propositiva il fascismo si è configurato - attraverso il corporativismo - come un tentativo di costruire una «terza via» tra comunismo e capitalismo, con la sintesi tra il nazionalismo e il principio socialistico: in conclusione, un insieme profondamente antimoderno.
Questo, naturalmente, se il giudizio storico è formulato oggi. A metà degli anni Trenta, invece, la sua immediata fenomenologia offriva un’immagine molto diversa, per certi versi opposta, perché si mostrava sotto il segno di una forza politica nata per arrestare l’avanzata del movimento operaio e socialista. Il fascismo appariva come il braccio armato della borghesia. È stata questa, nella sostanza, l’interpretazione che ne ha dato, in generale, tutta la sinistra, italiana ed europea, e uno dei modelli più classici di questa versione si rintraccia senz’altro nelle celebri lezioni sul fascismo tenute da Palmiro Togliatti, a Mosca, nel 1935, e ora ripubblicate da Einaudi e curate da Francesco M. Biscione (Palmiro Togliatti, Corso sugli avversari. Le lezioni sul fascismo, Einaudi, pagg. 356, euro 13).
Togliatti fa propria la definizione formulata allora dalla Terza Internazionale: «Il fascismo è una dittatura apertamente terroristica degli elementi più reazionari, più sciovinisti e imperialisti del capitale finanziario». Cosa fa il fascismo? Realizza «gli ordini del suo padrone, la borghesia», la quale ha trovato un’organizzazione politica adatta «ad esercitare una pressione armata sulle classi lavoratrici». Effettivamente, se si ricostruiscono i primi anni dell’avanzata fascista si deve constatare che una parte della classe borghese, spinta dalla paura di un possibile avvento della rivoluzione comunista in Italia, appoggiò Mussolini nella convinzione - del tutto errata - che questi, una volta neutralizzato tale pericolo, si sarebbe «costituzionalizzato», accettando lo Stato liberale. Il fascismo, tuttavia, non era semplicemente una reazione antioperaia; era senz’altro questo, ma ancor più era l’espressione italiana di un fenomeno nuovo della storia europea: il totalitarismo, la cui prima formulazione, però, aveva visto la luce con la vittoria bolscevica in Russia.
Le lezioni sul fascismo di Togliatti, pertanto, poco ci possono dire, se si seguono le premesse interpretative di partenza; molto, invece, se vengono lette come involontaria e speculare analisi del fratello eterozigotico del fascismo, ovvero il comunismo. Involontaria e speculare analisi perché il comunismo, a differenza del fascismo, aveva abolito la proprietà privata e il mercato e non conviveva né con una Chiesa, né con una monarchia. Il comunismo, cioè, era la realizzazione compiuta del totalitarismo.
Togliatti coglie alcuni elementi decisivi del regime fascista. Innanzitutto la sua novità perché riconosce a Mussolini la capacità di aver creato, copiando da Lenin, un «partito di nuovo tipo» che ha «una base di massa», sia pur «reazionaria»; il che significava affermare che il fascismo godeva di un ampio consenso popolare. Acutamente Togliatti vede che nel fascismo il partito non ha occupato completamente lo Stato. Il che significava riconoscere che in Italia mancava quella definitiva saldatura totalitaria fra partito e Stato che vi era allora in Russia e in Germania. Partendo dalla convinzione, infondata, che il fascismo altro non fosse che il puntello politico del capitalismo, se ne doveva dedurre, secondo Togliatti, che solo i comunisti, in quanto anticapitalisti, erano i veri antifascisti.

Così, a esempio, la socialdemocrazia si era dimostrata il «principale sostegno della borghesia»; socialisti e riformisti avevano aperto la strada al fascismo; «Giustizia e Libertà» era un movimento di «piccoli borghesi», e ugualmente gli anarchici, che poco o nulla avevano fatto per combattere l’avvento di Mussolini. Parole, queste, tanto ingiuste quanto ingenerose.

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