«Così il vecchio cavo diventa un'icona hi-tech»

Come ti trasformo un'azienda, raccontato dal Cio di Prysmian: «Un esempio? Togliere i cestini»

Marco Lombardo

Provate a pensare a un cavo e immaginate quello che c'è dentro: in pochi millimetri di diametro potete trovare tanta di quella tecnologia che non la immaginereste neanche in una puntata di Star Trek. Prendete poi ancora quel cavo e immaginate quello che c'è intorno: di solito un'azienda. Anzi: la più tradizionale delle aziende. Ma tutto questo è per dire che Prysmian, la società nata dall'acquisizione di Pirelli Cavi nel 2005, leader mondiale nella produzione di cavi e fibre ottiche, è un esempio di come trasformare l'esperienza in idee. E Stefano Brandinali ne è il suo CIO da fine 2015, che sarebbe Chief Innovation Officer. Ovvero «l'amministratore delegato dell'innovazione». Definizione che potrebbe sembrare di non avere un filo logico. O, piuttosto, un cavo.

Che c'entra un Cio insomma in Prysmian?

«Diciamo che prima di tutto c'entra sempre il business: io vengo da una lunga esperienza nel largo consumo e poi nel settore farmaceutico. Poco più di 2 anni fa però ecco appunto la sfida affascinante».

Chissà l'impatto.

«Immagini: arriva uno che parla di tecnologia e innovazione davanti a manager abituati a discutere di grafici e infrastrutture. Qui, diciamolo, il settore IT non ispirava troppo. Però se sono ancora al lavoro è perché alla fine sono stato supportato da tutti nella mia piccola follia».

Quale?

«Beh, il primo passo è stato quello di cambiare la filosofia: prima di soddisfare il business bisogna soddisfare i dipendenti. L'uno dipende dagli altri. Così mi sono inventato l'1BCD».

Prego?

«Un facile abecedario. Dove 1 sta per il principio unificante di tutto. E poi Business proximity, Cloud first e Digital transformation».

Volendo tradurre?

«Partiamo dall'1: Prysmian è un'azienda global, ma non lavorava come gruppo. Ottantadue stabilimenti nel mondo che non erano in contatto. Capirà: una roba da matti».

E poi?

«Dopo i primi 4 mesi abbiamo cominciato a ridefinire la struttura e ruoli delle persone. E da qui è arrivata l'idea del Lab, una delle cose di cui sono più orgoglioso».

In cosa consiste?

«Lo definirei un mandato. Siamo partiti con due persone dedicate, in pratica la gioventù al servizio di nuove idee per un'azienda con così tanta storia».

Primi risultati?

«Eccitanti. Le dico: ha presente che lavoro da mal di testa è fare un inventario? Ecco: abbiamo riconvertito dei droni per questo compito, avvalendoci dell'aiuto di una start up francese. E poi avevo scoperto che incredibilmente spesso non si sapeva dove fossero le nostre bobine di cavi nel mondo: abbiamo inserito un rilevatore Gps con una sim 2G. E vorrei mettere in questo cilindretto anche l'accelerometro e sensori per il rilevamento della temperatura e del grado di usura».

Geniale.

«La vera genialata è stata quella dell'azienda di capire che l'IT doveva diventare centrale nei processi decisionali. Stiamo parlando di 138 anni di esperienza tradizionale contro, sì e no, dieci».

Dunque tutto funziona.

«Non sempre: a questo serve il Lab. Ad esempio siamo andati a studiare una start up per i nostri cavi per ascensori. Ah: lo sa che i nostri cavi sono negli ascensori, me lo lasci dire, più fighi del mondo?».

Effettivamente no.

«Ebbene sì: volevamo ideare un modello di cavo predittivo, che insomma ci desse un alert ancor prima di guastarsi. Ma purtroppo loro non erano ancora pronti. Ci riproveremo. E in futuro non escludo di acquisire start up utili al nostro processo produttivo».

E i dipendenti come hanno preso questo cambiamento?

«Bene, anche perché anche loro fanno parte del piano. Quando Prysmian cercava un nuovo headquarter, abbiamo pensato che il nuovo edificio dovesse essere a misura di chi ci lavora. Con un un'idea: fidarsi».

Smart working, dunque?

«Anche. Però direi di più: benessere. I dipendenti hanno la possibilità di lavorare da remoto qualche giorno al mese, ma il luogo di lavoro doveva diventare la loro casa. Così, per esempio, abbiamo semplificato il tragitto: diamo l'abbonamento gratis dell'Atm oppure quello del parcheggio. E poi ci sono altre offerte innovative...».

Per esempio?

«Curiamo il fitness con questionari da compilare, a cui fa seguito una visita medica e dietologica. E il martedì e giovedì mettiamo la frutta gratis a disposizione di tutti».

C'è qualcuno che riesce comunque a barare?

«Non si può pretendere che tutti capiscano il concetto di fiducia, ma ormai è un problema minimo. Come dice un proverbio: le mucche felici fanno buon latte».

Sembra che lei si diverta.

«Certo: il lavoro non deve essere mica solo sofferenza. Io per esempio a fare questa trasformazione IT mi sono divertito».

Com'è l'azienda adesso?

«Immagini: ambienti open space, notebook che hanno sostituito i desktop, sale tv e riunioni con sensori volumetrici, software di comunicazione immediata grazie a Microsoft e Skype for business, telecamere a 360 gradi. E poi, con orgoglio, siamo la prima azienda paperless: non si stampa più nulla. Per evitare la tentazione non ci sono più nemmeno i cestini».

Siete nel futuro.

«Siamo dove deve essere un'azienda moderna. Ma la vera innovazione è un'altra».

Ovvero?

«Cambiare l'umore. Nel mio team vedo finalmente sorrisi: gente che prima usciva alle 9 di sera affaticata e che adesso va a casa alle 7 contenta. E mi creda che fanno molto più di prima».

Come esportare il modello Prysmian?

«In Italia siamo grandissimi nel pensiero tradizionale, ma facciamo fatica a fare passi avanti. Bisogna provare a cambiare i parametri: io ad esempio penso già all'uso degli ologrammi, alle stampanti 3D...».

Dottor Brandinali: lei ha mai visto «Black Mirror»?

«La serie tv che mette in guardia sul futuro tecnologico?».

Quella.

«È una serie tv, dài. Anche se il problema esiste. Io sono un Cio pagato per portare risultati, ma sono anche un entusiasta a caccia di opportunità. Ci vuole il giusto mezzo: dopo 10 anni di boom di tecnologica commerciale, siamo tornati a scrivere codici. È solo l'inizio: l'importante è il prossimo passaggio».

Ovvero?

«Darsi un pulsante etico. Davanti a un'auto che deve decidere da sola se frenare o meno, davanti a un robot che ha il compito di usare un'arma calcolando il danno minimo, come ci poniamo? Siamo ancora impreparati, immaturi: abbiamo una morale costruita in due millenni, ora ne dobbiamo creare un'altra che si basa su un paio di decenni».

Soluzioni?

«Urge quel pulsante, mi creda».

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