«Così vidi ammazzare il commesso di Prini»

Caro dottor Lussana, le scrivo a seguito dell’articolo di Edoardo Chiossone pubblicato mercoledì 14 maggio. Nell’aprile del 1945, in una mattina piena di sole, dopo che da due giorni Genova era libera, senza nessuno armato, e si mangiava pane bianco senza tessera (pane di farina di riso), arriva l’esercito americano e sfila per le vie. La colonna di automezzi, la guerra era finita i soldati in festa, proveniva da corso Buenos Ayres, traversava piazza della Vittoria, in ordine e lentamente risaliva in via XX Settembre provenendo dalla Riviera di Levante. I partigiani erano giunti a Genova dalle montagne quella mattina stessa, e sparsi tra la folla assiepata sui marciapiedi, facevano ala al passaggio delle truppe. Ad un tratto si ode uno sparo. Qualche urlo: «I fascisti sparano dai tetti». Da varie parti inizia una furiosa sparatoria rivolta ai cornicioni e alle grondaie delle case di via Fiume. La colonna dell’esercito americano si era bloccata al rumore dei primi colpi d’arma da fuoco. Tutti i soldati stesi lunghi per terra, fermi sotto i loro automezzi fermi, in lunghissime file in mezzo alla strada. Gli spettatori: impalati e impauriti sui marciapiedi. I negozianti avevano abbassato le saracinesche del negozio. Automezzi, soldati, pubblico, tutti fermi immobili mentre volava ancora qualche raffica di fucile mitragliatore. Il commesso della valigeria Prini, quella situata all’inizio di via XX Settembre, lato monte, si era attardato a chiudere le saracinesche, dopo corre verso via Brigata Liguria. Correva, purtroppo per lui, quando tutti erano fermi. Un urlo: «Ecco il fascista che scappa». Qualcuno spara a bruciapelo sull’uomo, che cade sul marciapiede di via Brigata Liguria, il corpo attaccato al muro dell’agenzia della Banca. Il corpo, squarciato dai proiettili sparati a bruciapelo, rimase lì abbandonato. Di questo fui testimone oculare mentre mi trovavo tra la folla sul marciapiede all’angolo del palazzo della Nafta per assistere, come tutti, all’arrivo degli americani. Nel tardo pomeriggio ripassai nella zona per recarmi all’Hotel Bristol ove c’era il CLN: il corpo del povero commesso della valigeria Prini giaceva ancora sul marciapiede dove era stato ucciso e, doloroso a vedersi, aveva un sandalo dentro allo squarcio del petto prodotto dai colpi di mitragliatore. Perché mi trovavo in quelle strade di Genova nell’aprile del 1945? Punto di ritrovo era per me lo studio del professor Migone sito in piazza della Vittoria al primo piano del palazzo contiguo a quello della Nafta.

Nella villa di campagna del professor Migone, dove abitava in qualità di sfollato da Genova l’allora vescovo e dopo cardinale Giuseppe Siri, si recò il generale tedesco comandante in Liguria per consegnare la propria rivoltella a Savoretti e firmare l’atto di resa.

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