Le cose non dette sulle intercettazioni

La legge che regola le intercettazioni tele­foniche e la loro pubblicazione ha superato ieri l'esame del Senato. La sinistra ha ab­bandonato l'aula al mo­mento del voto, Di Pietro ha fatto il matto, il sinda­cato dei giornalisti ha an­nunciato scioperi di pro­testa...

La legge che regola le intercettazioni tele­foniche e la loro pubblicazione ha superato ieri l'esame del Senato. La sinistra ha ab­bandonato l'aula al mo­mento del voto, Di Pietro ha fatto il matto, il sinda­cato dei giornalisti ha an­nunciato scioperi di pro­testa. Golpe, Berlusconi dittatore, fine della de­mocrazia, sono le parole meno forti usate dall'op­posizione contro il gover­no Berlusconi e la sua maggioranza. Non è che noi siamo felici, anzi. Qualsiasi regolamenta­zione, anche se sacrosan­ta, al nostro lavoro non ci mette certo di buon umo­re non fosse altro perché ci costringe a un supple­mento­di sforzo per forni­re ogni giorno un notizia­rio aggiornato e comple­to.

Ma detto questo non ci uniamo alla gran cassa del colpo di Stato. Non per partigianeria, sempli­cemente perché così non è, ancora una volta pre­valgono ipocrisia, dop­pia morale, doppiezza e opportunismo politico. Ecco perché.

Primo. Non è vero che la magistratura non può più intercettare chi cre­de, gli è solo imposto di essere più responsabile nell'impiegare uno stru­mento investigativo co­stoso, il cui utilizzo era fuori controllo e spesso strumentale, una scorcia­toia investigativa che ha mietuto anche tante vitti­me innocenti.

Secondo. Non è vero che i giornali non potran­no più dare notizie. Que­sta è una menzogna pro­pagandistica. I giornali­sti potranno raccontare tutti i fatti di cui sono a co­noscenza. La differenza è che non si potranno pubblicare nella versio­ne integrale atti giudizia­ri, intercettazioni com­prese, prima che un giu­dice abbia deciso che la persona sotto indagine sia un presunto colpevo­le.

Terzo. La sinistra e Di Pietro sostengono che questa legge è un attenta­to alla democrazia. Pec­cato che una legge simi­le, anzi più restrittiva, venne approvata dalla Camera nel 2007 duran­te il governo Prodi. I sì fu­rono 447, nessun no, no­ve astenuti. Quella legge fu sostenuta da tutti i gruppi parlamentari, nes­suno occupò l'aula, nes­sun giornalista, a parte Vittorio Feltri, prese posi­zione contro in modo net­to, nessuno sciopero fu proclamato. Pino Pisic­chio, allora braccio de­stro di Di Pietro nell'Idv, dichiarò: «Da oggi i citta­dini sono più tutelati, il provvedimento è equili­brato e dice basta allo spreco di ingenti somme di denaro». La legge si are­nò poi al Senato, ma lo scorso anno venne ripro­posta alla Camera, pri­mo firmatario Walter Vel­troni, se non sbaglio area Pd.

Quarto. I politici di sini­stra si fanno paladini dei giornali, che in caso di violazioni saranno co­stretti a pagare multe fi­no a 400mila euro. Giu­sto, ringraziamo. Pecca­to che quei politici, Di Pie­tro in testa, sono gli stessi che quotidianamente in­timidiscono i giornalisti e gli editori presentando querele e richieste di dan­ni per centinaia di miglia­ia di euro quando si parla di loro in modo non gradi­to. Il ricatto economico non l'ha inventato Berlu­sconi, si è limitato a co­pia­rlo da D'Alema che zit­tì La Repubblica e Foratti­ni con una querela nella quale chiedeva, da presi­dente del consiglio, tre miliardi di lire come risar­cimento. E parliamo di una semplice vignetta, non di una intercettazio­ne.

Quinto.

Forse i giorna­listi la smetteranno di es­sere semplici portavoce delle Procure, che ci for­niscono su un piatto d'ar­gento solo quello che vo­gliono e quando voglio­no, spesso per motivi di opportunità politica. Il vero giornalismo «cane da guardia del potere» è quello che provoca in­chieste giudiziarie ( ricor­date il Watergate?), per fotocopiare carte non ser­ve essere iscritti all'Ordi­ne.

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